mercoledì 20 gennaio 2010

La povertà di un cuore "paralizzato" ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 3 vv. 1-6

In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all'uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

“L’uomo vede l’apparenza ma il Signore vede il cuore”. Questo adagio, citato nel primo libro di Samuele – lo abbiamo incontrato ieri nella prima lettura della Messa del giorno – a proposito della scelta di Davide come re d’Israele al posto di Saul, è ancora utilissimo oggi per lasciare che i semi di questo vangelo possano depositarsi nella terra santa del nostro cuore.

Partiamo da una domanda: tra i protagonisti di questo episodio raccontato da Marco, chi è il più povero di tutti, il più “sfortunato”? Semplice: colui che ha la mano paralizzata, tanto che Gesù si impietosisce per la sua condizione e lo guarisce nonostante la contrarietà di farisei ed erodiani. Con questa risposta, però, non abbiamo superato il velo dell’apparenza. Se invece andiamo all’essenza delle cose, o meglio al cuore dei personaggi coinvolti, salta fuori tutta un’altra realtà, che Gesù con il suo “miracolo” fa emergere in tutta la sua chiarezza. C’è una paralisi molto più grave di quella di una mano: è quella della volontà di amare. Coloro che dopo si riuniranno in consiglio per uccidere Gesù, hanno un cuore “paralizzato”, la volontà di amare “bloccata”, il fiume del loro bene completamente disseccato. Sono FERMI, incapaci di qualsiasi reazione positiva. Il testo ce lo fa capire molto bene: “Stavano a vedere ... essi tacevano”. Si muovono soltanto per riunirsi e decretare la sentenza di morte contro di Lui, si mettono in movimento soltanto per costruire altro male.

Invece l’uomo dalla mano paralizzata, chiamato da Gesù, si mette nel mezzo, tende la mano. Il suo cuore non è paralizzato, è aperto alla meraviglia dell’amore, alla potenza di Dio a cui nulla è impossibile. Ha un limite fisico, ma un cuore capace di affidarsi a Colui che, se lo lasci “lavorare” dentro di te, ti aiuta ad avere pazienza, a fare cose grandi attraverso la tua fragilità, anche a guarire, addirittura a spostare le montagne se la tua fede è almeno quanto un granellino di senapa. E’ povero all’apparenza, ma in sostanza ha trovato il suo tesoro, ha costruito la sua povera casa sulla roccia. Invece farisei ed erodiani, “apparentemente” dotati di tutto, hanno perso la funzionalità del vero motore della loro vita, il loro cuore ...

martedì 19 gennaio 2010

Il tuo riposo come immagine del mio ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 2 vv. 23-28
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell'offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!». E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato».

Il primo capitolo del libro della Genesi ci racconta come, in sei giorni, Dio abbia creato la terra, le piante, gli animali ed infine l’uomo. Il secondo capitolo inizia così: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando” (vv. 1-3). Dio ci viene descritto come un abile ed instancabile artista, che dopo aver lavorato con grande sforzo e passione, sente il bisogno di riposarsi per recuperare le energie.

Ma Dio ha veramente bisogno di riposarsi? Sente anche lui la stanchezza come noi uomini? E’ chiaro che quest’immagine di Dio che si riposa serve all’autore sacro per far comprendere ai suoi lettori qualcosa di importante per il loro itinerario spirituale. Dio non ha bisogno di riposarsi, anche perché la creazione è un evento “continuo”. Egli ci “conserva” nell’esistenza, il suo amore sostiene il nostro respiro, l’azione dei nostri sensi, il nostro pensare ed il nostro amare. Se, per assurdo, Dio smettesse di crearmi adesso, io non sarei più nulla, la mia vita totalmente azzerata.

Se allora Dio non si riposa mai, il suo amore è sempre attivo nel tenermi in vita – come un cuore che non può permettersi di fermarsi altrimenti muore tutto il corpo -, cosa vuole dirmi parlando, nel testo sacro, del suo riposo? Sta chiedendo a me di riposarmi, di fermare la corsa del mio FARE per ammirare, sorprendermi di quello che Lui ha FATTO per me. Per fare tutto questo mi ha indicato anche un giorno a settimana, il sabato per gli ebrei, la domenica per noi cristiani, che viviamo nella luce che tutto rinnova della resurrezione del suo Figlio Gesù. Un giorno a settimana ricomprendere il senso del mio andare, verificare se la strada percorsa è quella giusta, ritrovare il giusto entusiasmo per il cammino futuro, correggere questi aspetti della persona che hanno condotto a fare errori, prendere cadute. Un tempo di cui tutti noi possiamo servirci per crescere nella fede, per sprigionare tutto quell’amore che, se resta dentro, come un cibo non consumato, rischia di marcire.

Per tutti questi motivi Gesù non accetta la critica che viene mossa a lui e ai suoi discepoli perché, il giorno di sabato, passano per i campi di grano e mangiano il grano contenuto nelle spighe. Non accetta una contestazione che riguarda la “forma”, o meglio l’apparenza, e non la sostanza. Rispettare il sabato non è questione di cammino a piedi da non fare o grano da non mangiare. La sostanza è l’effettivo mettersi “faccia a faccia” con Dio per sviluppare con Lui una comunicazione positiva che attivi in noi tutte le facoltà positive. Il riposo delle braccia e delle gambe è solo una norma in funzione di tutto questo. Il non-rispetto della norma, in un caso particolare – anche come il citato caso di Davide con i suoi compagni -, non equivale necessariamente al tradimento della “sostanza”, cioè della tensione del cuore verso di Lui per ascoltarlo e sapere cosa fare ...

Dio non vuole da me solo rispetto di norme, ma soprattutto apertura del cuore ... il rispetto delle norme non implica, automaticamente, coinvolgimento del cuore ... il coinvolgimento del cuore, in casi particolari, può esserci anche trasgredendo la norma ...

lunedì 18 gennaio 2010

Digiuno? Per "mangiarti meglio", caro Gesù ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 2 vv. 18-22

In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

Parola-chiave in questo brano è la parola “digiuno” (ed il suo corrispettivo verbo “digiunare”). Cosa intende dirci Gesù attraverso di essa? Qui due significati si incrociano, a volte si scontrano, altre si danno la mano. Si parla del digiuno come scelta di astenersi dal cibo, ma anche come assenza dello Sposo, Cristo Gesù. (“quando lo sposo sarà loro tolto ...). Partiamo dal digiuno inteso come assenza dello Sposo. In questo senso noi non siamo chiamati a digiunare: un cammino di vita spirituale altro non è che una “palestra quotidiana” per imparare a percepire la sua presenza in ogni cosa, sperimentare che Lui è l’orizzonte di ogni nostro pensiero e gesto: “in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17,28). Il cantico delle creature, la preghiera più conosciuta scritta da Francesco d’Assisi, nasce da uno sguardo innamorato che sa vedere le tracce dell’Amante in ogni cosa, perché tutto è un raggio della sua luce, tutto è sgorgato dal suo cuore che è infinitamente grande ma sa farsi piccolo e donarsi in ogni cosa. Noi, riconoscendo questi segni della sua bontà, possiamo “risalire” a Lui, partecipare al “banchetto eterno”, stare con Lui per sempre godendo della sua luminosa presenza. Quindi, se parliamo di digiuno come assenza di Gesù, parliamo di una condizione che siamo chiamati a “fuggire”, perché Egli vuole che noi possiamo contemplare per sempre la bellezza del suo volto.

Ma il digiuno è anche l’astenersi per un certo tempo dal mangiare. Ci serve per il nostro cammino di conversione? E’ utile per alleggerirci dei nostri pesi? Si, se vissuto con lo spirito giusto. Non deve diventare mai un gesto puramente “tradizionale” (“lo faccio perché si è sempre fatto così!”) oppure di mera facciata (“se non lo facessi, visto che lo fanno tutti gli altri, farei una brutta figura”). Questo è forse l’animo con cui i farisei compiono il loro digiuno e per questo non sono imitati da Gesù e dai suoi discepoli. Deve essere invece una scelta “strumentale”, cioè in funzione di un altro obiettivo. Perché digiunare? Per “compatire”, cioè soffrire insieme, con i più poveri, coloro che veramente non hanno neppure il loro “pane quotidiano”. Per “capire” che l’abbondanza del cibo, o di tante altre cose, non è la cosa fondamentale della propria vita: non di solo pane vive l’uomo! Per “educare” alcune nostre pulsioni, che non ci spingono ad essere attenti e solidali alle esigenze degli altri, ma ci “impongono” di curare soltanto noi stessi, di trattare gli altri come “strumenti” della nostra felicità e non come persone con una loro dignità. In questo senso il digiuno è una “via favorevole” per arrivare a purificare il cuore dalle “emozioni superflue” e rimettere al centro la carica autentica di un amore che sa darsi completamente e senza condizioni ...

venerdì 15 gennaio 2010

Compagno di tutti ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 2 vv. 1-12
Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va' a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Spesso nel mio cuore, nei miei pensieri più profondi, si insinuano queste domande: “Riesco a fare il possibile per le persone che mi sono state affidate? Sono capace di essere per tutti, soprattutto per i più poveri, un segno concreto del suo amore? Offro la mia disponibilità al Signore, in modo che Lui la “utilizzi” per le sue “missioni” d’amore e di pace?”. La risposta arriva quasi immediatamente: “No. Non riesco a fare il possibile. Non sono per tutti un segno del suo amore totale. La mia disponibilità è ancora troppo limitata, incerta. La mia vita spesso non è uno “strumento” nelle sue mani per diffondere con abbondanza la sua misericordia”.

Una risposta del genere potrebbe indurti quasi a mollare tutto, perché si è sempre “in ritardo” rispetto al traguardo che si dovrebbe tagliare ogni giorno. Oppure può convincerti ancora di più di una semplice constatazione: non tutto, nella vita di fede, sta nel “fare”. Molto si fa attraverso l’ESSERE, più specificamente l’essere con Gesù, cioè la vita di preghiera.

Cosa succede quando celebriamo l’Eucarestia? Tutti insieme, un unico corpo, ci RIPRESENTIAMO all’evento fondatore della nostra fede: la morte e la resurrezione di Gesù. Tutti, proprio tutti. Coloro che sono presenti, ma anche gli assenti. I poveri dei quali conosciamo il volto, ma anche coloro che non abbiamo mai incontrato. I defunti che sono stati importanti per la nostra vita ma anche quelli che non hanno mai sfiorato il tracciato della nostra esistenza. Le persone che siamo riusciti a servire ma anche quelli a cui abbiamo girato la faccia, che abbiamo trascurato, che non siamo stati capaci di aiutare veramente. In quel momento RIPRESENTIAMO tutti all’amore di Dio, affinché da esso siano inondati. Prendendo a prestito un’immagine di questo vangelo, quando siamo in Chiesa per essere un solo corpo intorno all’unica mensa, il tetto della Chiesa viene “scoperchiato”, tutti i poveri del mondo vengono “calati” sui loro letti di dolore, vengono presentati al suo sguardo amorevole. Non è fantasia, è verità. Non quello che si vede, che si sperimenta con i sensi. E’ il senso profondo di quello che succede.

Allora posso, nonostante le mie incapacità ad amare, andare avanti. Ogni volta che mi troverò a celebrare l’Eucarestia, aiuterò tutti, sarò servo per ogni uomo, faciliterò ad ognuno il contatto con la fonte dell’amore eterno. Certo, non devo stancarmi di essere a disposizione, diventando ogni giorno docile strumento tra le sue mani. Però deve chiarirsi dentro me la certezza che Lui mi dà la possibilità di essere veramente compagno di tutti, attraverso la bellezza dei suoi sacramenti ...

giovedì 14 gennaio 2010

Il duplice movimento dell'amore ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 1 vv- 40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Questa mattina, dovendo “spezzare il pane” della Parola a quei fratelli che con me celebravano la grandezza e la bellezza dell’amore di Cristo nel sacramento dell’Eucarestia, la prima idea che mi è venuta in mente è stata questa: l’amore non può che infiammare il mondo secondo un duplice movimento, attivo e passivo.

Movimento attivo. Un lebbroso si avvicina a Gesù. Si inginocchia, lo supplica di guarirlo dal suo male. Un altro uomo si sarebbe allontanato immediatamente oppure lo avrebbe scacciato. Non Gesù, che è capace di “sfidare” anche le consuetudini del suo tempo. Per tutti un lebbroso è un peccatore, un “rifiutato” da Dio; la malattia esterna è il segno della suo interiore stato di peccato. Non si può, allora, non agire di conseguenza: se egli è lontano da Dio a causa del male commesso, allora deve essere escluso anche dal consesso umano. Per Gesù è invece un figlio, un fratello, un “povero” che, più degli altri, deve essere ascoltato, compatito, curato. Il lebbroso si avvicina a Gesù, che a sua volta riduce ancora le distanze. Lo tocca e lo purifica. Gli ridona la sua dignità, gli dà la possibilità di tornare a testa alta tra gli altri uomini, lo tira fuori dal suo stato di segregazione. L’amore si fa vicino – pochi giorni fa il vangelo ci ricordava che il Regno si è fatto vicino -, entra nella storia dei poveri, porta su di sé la sofferenza delle ferite, la guarisce con la sua forza di resurrezione. Amare significa, quindi, avvicinarsi, “farsi prossimo” a coloro che ne hanno più bisogno. Questo movimento può avvenire nella totale gratuità, non deve nulla pretendere né prima né dopo. L’amore ha una grandezza in se stesso, nel suo dispiegarsi, al di là dei risultati che può ottenere. Anche Gesù, in determinate occasioni, non è riuscito a vincere il cuore duro dei suoi ascoltatori, soprattutto coloro che poi hanno decretato la sua morte. Questo non toglie la luminosità del suo sacrificio, che resta splendore anche quando le tenebre non lo accolgono.

Movimento passivo. Gesù ha vissuto un intenso apostolato. A volte, con i suoi discepoli, non ha avuto neppure il tempo per mangiare. Però non ha quasi mai trascurato i momenti di sosta, di preghiera intensa, in colloquio con il Padre. Dopo essere stato tra la folla, cercando di portare a tutti un po’ di bene, andava in luoghi solitari, per “ricaricarsi”, per ascoltare le indicazioni del Padre attraverso lo Spirito disceso su di Lui il giorno del suo battesimo al Giordano. La sua pace, spesso, non durava a lungo. Molte persone individuavano il luogo in cui si tratteneva a pregare e gli presentavano lo stesso le loro richieste. In tutto questo, è importante notare il movimento passivo dell’amore, la sua capacità calamitante. Chi ama davvero si avvicina agli altri, riduce la distanza con i propri passi. Ma è anche vero che l’amore porta gli altri a ridurre le distanze, a mettersi in cammino verso la fonte dell’amore. I santi, segni viventi dell’amore di Dio, si avvicinavano ai loro fratelli, ma dedicavano anche tanto tempo all’accoglienza di coloro che arrivavano attratti dal loro amore. L’amore è un agire premuroso verso gli altri, ma anche l’attivazione una forza che porta gli altri a ritornare a Dio, rispondendo al suo appello di conversione. La forza “passiva” dell’amore si attiva soprattutto attraverso la preghiera e il tempo, per molti considerato “perso”, dedicato alla meditazione della Parola.

Amare non vuol dire soltanto “porre” gesti d’amore, ma anche, forse soprattutto, dialogare con l’Amore e rendere la nostra vita al suo servizio una forza calamitante ...

martedì 12 gennaio 2010

Il Vangelo ... tracce di vita per il nostro tempo ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 1, vv. 21b-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupìti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

La sfida che abbiamo davanti, come persone che ogni giorno si “sforzano” di credere al Padre rivelato da Cristo, è quella di mettere in evidenza i tanti collegamenti che ci sono tra la Parola, particolarmente il Vangelo, e la vita di tutti i giorni. In un certo senso, si tratta di “RISENTIRE” la stessa energia d’amore che, circa due millenni fa, sconvolse la vita di molti contemporanei di Gesù, proprio come abbiamo visto ieri con i primi quattro discepoli. Annunciare il vangelo, in tutte le sue forme possibili, significa far comprendere ad ogni uomo che il messaggio di Gesù è ancora valido per il nostro tempo, ha in sé un carattere di modernità che altri sistemi di pensiero non hanno. Oggi, forse più di ieri, il nostro tempo ha bisogno della “bella notizia”, perché troppe sue strade sono chiuse al mistero dell’amore e necessitano di essere riaperte con urgenza.

Cosa può dire il vangelo di oggi al nostro presente? Come “far riaccadere” tutto l’episodio di Cafarnao ai nostri giorni? Forse è il simbolo di qualcosa che da sempre accade nell’intimo di ogni uomo, anche in questo momento ...

Gesù entra di sabato nella sinagoga per insegnare. Gesù chiede di entrare sempre nel mio cuore. Non è una richiesta occasionale, ma quotidiana. Non legata al caso, ma fortemente voluta, insistente, potrebbe sembrare addirittura inopportuna. Vuole entrare dentro di me non per darmi ordini, ma per parlarmi. Vuole spiegarmi le ragioni della sua “proposta”, ci tiene a raccontarmi la bellezza della sua via, che passa per la croce ma ha come obbiettivo finale la resurrezione.

La gente si stupisce del suo insegnamento perché, a differenza degli scribi, è autorevole. Se il mio cuore si mette in sintonia con il suo, se presto veramente attenzione al suo parlarmi, allora è naturale per me stupirmi, cioè provare un senso di meraviglia per qualcosa che satura l’equilibrio delle mie emozioni. E’ un incontro che mi consegna qualcosa di grande, che non si può misurare, inquadrare, catalogare: si può soltanto restare a bocca aperta, avere il cuore a mille, gioire per un dono totalmente inaspettato.

Nella sinagoga c’è un uomo posseduto da uno spirito impuro. Grida a Gesù tutta la sua rabbia, la sua opposizione alla sua presenza, alle sue parole. Dentro di me, oltre allo stupore, sento anche una forte opposizione alle sue appassionanti parole. Mi sento diviso: una parte di me vuole e spesso riesce a seguire i suoi insegnamenti; un’altra parte si oppone e, in più occasioni, mi allontana da lui portandomi sulla via degli empi. Non posso non ammettere che questa forza è mia, fa parte di me. Non potrò mai zittirla del tutto, estirparla dalla mia sensibilità.

Gesù grida allo spirito impuro di tacere ed uscire dall’uomo. Lo spirito gli obbedisce. Gesù viene ogni giorno in me per donarmi la sua parola, ma anche per stare dalla mia parte e combattere contro le “altre parole non buone” che vogliono diventare il centro del mio esistere. Si impegna con forza nella lotta, se è necessario alza la voce, mi “rifornisce” di armi sempre nuove e di preziose tecniche di autodifesa. Mi ricorda continuamente che con le forze del male non si scende a patti, non devono rimanere dentro neppure un istante, pena il loro stabilirsi per tempi molto prolungati. Mi incoraggia quando sono stanco oppure abbattuto per le sconfitte: “Hai perso una battaglia! Ma la guerra con me non la perderai!”.

La gente si chiede chi sia Cristo, capace di dare una parola autorevole e addirittura di comandare agli spiriti impuri. Quello che sperimento nel mio cuore, la presenza di Gesù, la sua battaglia al mio fianco contro il male, mi offre la possibilità di rispondere, sempre ogni giorno, alla domanda: “Chi è Gesù per me?”. Ogni giorno una risposta, forse anche di più. Tutte queste risposte, custodite nel cuore, si trasformano in tracce preziose per il mio cammino spirituale, diventano i pezzi del puzzle della mia fede ...

lunedì 11 gennaio 2010

Contro la pigrizia che blocca il nostro ripartire ...


Dal Vangelo secondo Marco cap. 1, vv.14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Ripartire. E’ una delle cose più difficili da fare nella vita. Dopo aver raggiunto un traguardo, che magari ti ha donato molta gioia, perché hai visto i frutti di tanto lavoro, tanta passione messa in gioco, è veramente complesso recuperare le forze, mettere nello zaino della quotidianità tutto quello che serve, soprattutto il desiderio di crescere ancora, e puntare decisamente verso un nuovo orizzonte da fare proprio. Ci prende una certa “pigrizia”, perché forse una parte di noi vorrebbe, distaccandosi dalla realtà della vita, vivere senza impegnarsi troppo, crogiolarsi in un “beato far niente”, occuparsi soltanto delle cose più piacevoli lasciando fuori dalla porta tutte le altre. E’ chiaro che questa forza che “dorme” dentro di noi e che riemerge nel tempo del “ripartire”, deve essere combattuta. Ci allontana dal mondo reale e ci imprigiona in un mondo fantastico, che sarà anche in parte piacevole ma rischia di essere come uno gettarsi da un aereo senza paracadute. In che modo “combattere” questa strana pigrizia che in certi momenti tutti travolge (oggi, per esempio, archiviate definitivamente tutte le feste di Natale)? Come renderla marginale nel nostro cuore ed impedirle di diventare protagonista del nostro prendere decisioni?

La nostra fede, come sempre, non è una soluzione magica capace di risolvere tutti i nostri problemi. E’ però un aiuto indispensabile, un “rafforzamento” della nostra volontà positiva, un alleato invisibile che combatte dalla parte delle nostre migliori aspirazioni. “Il Regno di Dio è vicino” ricorda Gesù all’inizio della sua missione; o meglio, “il Regno si è avvicinato”, l’amore del Padre, per sua stessa essenza, tende ad aderire alle nostre storie, plasmare il nostro futuro, riscaldare i focolari della nostra intraprendenza. La pigrizia del “ricominciare” possiamo combatterla soltanto noi, non possono entrare in gioco mercenari. Però una spinta non fa male, anzi a volte può essere decisiva. “Il Regno di Dio si è fatto vicino”, cioè Dio viene nella tua vita, ti spinge verso il meglio da conquistare. Conosce la tua pigrizia che, come un leone ruggente, può bloccare la tua forza interiore e impedire che tu ti spenda in futuri progetti d’amore. Ed allora si avvicina a te, come stella ti indica una rotta ma non solo: in ogni occasione, opportuna o meno opportuna, ti spinge verso la tua stella, ti ricorda che la forza nei muscoli ce l’hai, vuole farti comprendere che stare fermi è perdere del tempo che non si potrai mai più recuperare ...

E’ tempo di RIPARTIRE. Non dobbiamo vergognarci di ammettere di aver bisogno da Lui una spinta. E con la sua forza, resistendo alle lusinghe della nostra pigrizia, andremo lontano ... come gli apostoli lasceremo quello che già è nostro e, salpati per sempre nuovi viaggi, cercheremo instancabili sempre nuovi porti ...

mercoledì 6 gennaio 2010

AVVICINATI ALLA SUA LUCE!

Dal Vangelo secondo Matteo cap. 2 vv. 1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele"».Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Vorrei condividere con voi due semplici pensieri, o meglio “esperienze” che la “bella notizia” di oggi ci aiuta a mettere a fuoco: primo, la luce del Natale, cioè il meraviglioso evento di Dio che si fa carne, è destinata a tutti, è universale, è “cattolica”; secondo, non è per noi scontato, automatico, essere parte di questo “tutti”, è sempre indispensabile una effettiva apertura, una evidente disponibilità.

Per dare forma alla prima “esperienza”, partiamo dai Magi, coprotagonisti insieme a Gesù di questo passaggio del vangelo di Matteo. Chi sono? La parola “Mago” può significare tante cose: sacerdote persiano, astrologo, detentore di poteri soprannaturali, propagatore di una nuova religione ed infine anche ciarlatano. Non possiamo arrivare ad una risposta certa. Una cosa però è chiara: non sono ebrei ma stranieri perché vengono dall’Oriente. La luce “calamitante” ha attirato a sé non soltanto ebrei – nel vangelo di Luca si parla dei pastori – ma anche stranieri, gente venuta da lontano, non inserita nell’esperienza di fede del popolo di Mosè. Allora è evidente che la luce del Natale è per tutti, destinata ad illuminare ogni confine della terra, a “riscaldare” ogni cuore, anche quello apparentemente irraggiungibile. Il mistero del Figlio, seconda Persona della Trinità, che si è fatto bambino, non è soltanto un fuoco di paglia, una luce abbagliante ma di breve durata, ma forte e costante, capace di superare qualsiasi barriera spazio-temporale, tanto “affascinante” da “mettere in movimento” tre sapienti dalle lontane terre dell’Oriente. Gesù bambino è allora il nostro vero ed unico “massimo” comune denominatore. Quando ci sembra di essere così diversi da non poter stare insieme, quando i punti di contatto ci sembrano così pochi da non poter neppure guardarci negli occhi, ci viene incontro la sua luce che ci ricorda: “Io sono la luce del mondo. Tutto il mondo è destinato ad avermi come stella nella notte. Chi ancora non mi ha riconosciuto come stella del suo cielo, potrà farlo in seguito, perché non si può camminare nel buio senza di me. E tu, che mi hai accolto come luce nella stanza sigillata del tuo cuore, devi avere la “santa inquietudine” di aiutare chi ancora non mi conosce ad avermi come sua luce. Vai incontro a coloro che non riesci ad amare e fonda su di me, luce del mondo, un nuovo rapporto. E così sarete, insieme, luce del mondo, specchio della mia grandezza”.

Seconda “esperienza”: non è scontato ESSERE parte del “tutti” per cui splende la luce del Natale. Prendiamo il caso di Erode. E’ il re dei giudei. E’ un capo politico, ma dovrebbe essere chiaro in lui che, esercitare il potere, significa amministrare un regno, un insieme di persone, che prima di tutto è di Dio, l’unico e vero Re. Egli è “vicinissimo” a Gesù: è un ebreo come lui. Eppure, quando arrivano i magi con le loro domande, si impensierisce e con lui tutti gli abitanti di Gerusalemme. Ma come, non dovrebbe gioire per l’arrivo del Messia tanto atteso? Il suo cuore è chiuso, dentro di sé non vive la santa attesa dell’Inviato definitivo di Dio: tra l’altro non conosce le Scritture, deve chiedere agli scribi per sapere che Betlemme è la città in cui, secondo il profeta Michea, dovrà nascere il Messia. E poi cerca, con l’arma del sotterfugio, di sapere dov’è Gesù per poterlo eliminare; fortunatamente il tutto fallisce perché i magi vengono avvertiti in sogno. In altre parole, Erode è un uomo VICINO, ma CHIUSO nella sua sete di potere, CHIUSO al rivelarsi di Dio, alle promesse da Lui fatte al popolo. Per lui si realizza ciò che dice Giovanni nel prologo del suo Vangelo: “Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”. Molti di noi possono definirsi VICINI a Gesù. Lo conosciamo da tanto tempo, facciamo da parecchio un cammino di fede, celebriamo il suo amore nella liturgia. Corriamo il rischio di sentirci “già dentro”, ma in realtà “siamo fuori”, perché non lo stiamo scegliendo giorno per giorno. Il nostro cuore, a differenza del cielo di Gerusalemme che “si chiude” alla luce della stella, deve essere sempre aperto ad accogliere tutti i segnali della sua presenza. VICINI non si è una volta per tutte, lo si diventa ogni giorno.

Il tempo ordinario che sta per cominciare possa essere segnato da questa esigenza: “utilizzare” ogni attimo della nostra quotidianità per DIVENTARE sempre più VICINI alla sua luce ...

lunedì 4 gennaio 2010

VIAGGIARE


Le feste stanno per finire ... dopo la "pausa" natalizia è tempo di "ripartire", riprendere la vita di tutti i giorni ... riprende la dimensione fondamentale della nostra esistenza: viaggiare ...
Sto leggendo in questi giorni un romanzo di Walter Veltroni, "Noi". A proposito del "viaggiare" mi hanno molto colpito queste parole che adesso vi propongo:

"Guardare in su, cercare con gli occhi, esplorare e capire. Giovanni aveva questo desiderio di scoperta da quando era piccolo. Aveva imparato nella vita che solo il viaggio è reale, che i porti, con il loro carattere definitivo, sono miraggi, luoghi inesistenti. Che solo il viaggio della conoscenza rende la vita degna di essere vissuta. La conoscenza dei paesaggi, dei venti, delle albe, del colore del mare, della terra all'orizzonte, delle persone che incontri, dei cuori che ti seducono, dei silenzi improvvisi e delle parole che non ti aspetti. La conoscenza delle tue allegrie e delle tue tristezze, del piacere degli altri e delle storie degli altri.
Cerca sempre, cerca ancora, sistema il tuo mezzo perché possa sempre ripartire, non avere paura dei danni e delle ferite; viene sempre il giorno in cui si riparano i primi e si chiudono le seconde. Non crederti il centro del mondo, perché il mondo non ha centri o ne ha miliardi. Non essere mai soddisfatto, non essere mai desolato.
Cerca gli altri, troverai te"

sabato 2 gennaio 2010

Animatori in viaggio...

Toc toc…
Chi è? .... Ah, salve amico! Si, siamo un gruppo di animatori… Siamo in partenza per Orvieto!
Oggi è il 27 dicembre dell’anno ormai passato 2009 e torneremo il 30… Grazie…. Faremo buon viaggio…. Allora… Zaini in spalla … pronti per la partenza? …. Viaaaaaaaaaaa…..
Ebbene si!!! Quale occasione migliore per stare un po’ insieme in allegria e imparare a conoscersi di più?
Il ritiro invernale animatori è ormai un appuntamento fisso! Ogni anno di questi tempi partiamo tutti insieme, ognuno portando con se il proprio bagaglio di allegria, risate, tristezze e speranze da condividere!
Quest’anno abbiamo voluto respirare un po’ d’aria pulita e per questo ci siamo rifugiati nel verde e nella tranquillità di un agriturismo! Fantasticoooooo!!! C’erano le mucche che pascolavano, gli insetti che volavano… un po’ di pace dalla solita routine di “casa dolce casa”!
Qualche ora di autostrada e poi siamo sbarcati ai piedi di un casale molto grande e dopo aver riposto gli zaini nelle stanze, ci siamo riuniti intorno al calore di un grande camino nella sala grande e lì, riscaldati da un piacevole tepore, abbiamo iniziato un viaggio più faticoso che percorre i sentieri dell’anima e del cuore…
Eh, si…
Mica gli animatori hanno già raggiunto un traguardo definitivo per la loro vita!!!
Come tutti… anche loro sono sempre ed instancabilmente in cammino…. in cammino… si…. ma per dove?
Non voglio anticipare il finale della nostra splendida avventura così che, raccontandovi il nostro viaggio, tutti voi, amici del web, possiate ritrovare una piccola luce!
Il viaggio è iniziato tra il fango… ogni cosa inizia dal basso… Per questo, abbiamo perlustrato i meandri del nostro cuore ricercando e prendendo atto delle ferite che ci portiamo dentro, che ci condizionano e che ci impediscono di guardare avanti!
“Quando vivere diventa un peso, quando nei sondaggi il tuo parere non è compreso, quando dire amore diventa sottinteso, quando davanti al sole la mattina non sei più sorpreso dillo pure che sei offeso…”.
Insomma, quando una ferita brucia grida… non tenerti tutto dentro!
Dillo che sei arrabbiato! Dillo pure che sei offeso!
Sicuramente vi chiederete: e già… mica cambia qualcosa dopo? Arrabbiato ero ed arrabbiato resto!
Eh, no! Riconoscere ciò che ci ha ferito è il primo passo per edificare la “cattedrale” della felicità. L’imponenza della cattedrale di Orvieto è l’esempio del lavoro da realizzare armandosi di tanta buona volontà e di perseveranza! Una volta giunti alle gotiche guglie si toccherà il cielo.
C’è solo una cosa da fare per iniziare ad allestire il cantiere e mettersi all’opera: PERDONARE E PERDONARSI!
Sarebbe un gesto tanto semplice, eppure è il passo più difficile da compiere!
Strano davvero considerando che c’è qualcuno dall’alto che ci perdona ogni istante della nostra vita!
Il perdono ha il sapore della cioccolata calda bevuta insieme seduti al bar di Orvieto, ha la gioia delle colazioni preparate insieme per il mattino, ha la luminosità del sorriso delle suore del monastero che con tanta dolcezza ci hanno testimoniato la loro fede.
Ci mancava ancora qualcosa, avevamo bisogno ancora di alcune risposte e per questo, prima di tornare a casa, abbiamo fatto una piccola deviazione ritrovandoci così tra le stradine di Assisi per salutare alcuni amici di viaggio, Francesco e Chiara i quali, ormai da qualche secolo, ci testimoniano che l’essenziale per essere felici Dio ce l’ha già dato, basta aprire gli occhi o, in alcuni casi, mettersi gli occhiali in modo da vedere meglio.
Ecco… siamo in cammino… si…. in cammino per la pienezza del cuore!

Valentina I.

AUGURI! IMPARA A COLLEGARE ...


Dal Vangelo secondo Luca cap. 2 vv. 16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Tra ieri notte e questa mattina, quante volte abbiamo detto o ascoltato frasi di questo tipo: “Tanti auguri!”, “Buon anno!”. E’ importante, utile, bello scambiarsi gli auguri. A patto, però, che non siano parole e gesti dettati dalla circostanza, dall’abitudine – in questo giorno tutti si scambiano gli auguri ed è opportuno attenersi alle consuetudini -, ma espressione di un messaggio intenso e significativo. I veri auguri non possono che essere un appello alla coscienza, al cuore del mio fratello perché possa utilizzare il tempo futuro che ha davanti per essere migliore ...

Di solito ci diciamo a vicenda: “Buon anno, buon 2010!”. Ma forse sarebbe più opportuno dirsi l’un l’altro: “Sii buono in questo 2010”. Il tempo, in se stesso, non ha nessun valore, non è portatore di un determinato significato. E’ uno scorrere meccanico, una successione di secondi, minuti, ore, giorni ed anni. Quando, per esempio, passiamo un certo lasso di tempo senza avere nulla da fare, ci annoiamo, proprio perché lo scorrere del tempo, in se stesso, non ci dona nulla, non coinvolge la nostra vita. Abbiamo l’impressione di essere in una gabbia dalla quale voler uscire il più presto possibile. In casi del genere, abbiamo la sensazione che il tempo “rallenti” e quindi sentiamo sempre di più la pesantezza del suo passaggio.

Siamo invece noi, con le nostre scelte, che diamo significato al nostro tempo. Esso è come un orizzonte, un palcoscenico sul quale “mettere in scena” la nostra vita. Soltanto tirando fuori il meglio di noi, mettendo a disposizione la bellezza della nostra originalità a chi abbiamo accanto, possiamo rendere SIGNIFICATIVO il nostro tempo. Non sarà soltanto una semplice successione di attimi, ma uno “spazio” di rivelazione, un “trampolino di lancio” per ciò che siamo e desideriamo nel profondo.

“Sii buono nel 2010!”. Rafforziamo il senso di questi auguri facendo riferimento a Maria che, ci ricorda il Vangelo a proposito di tutti gli eventi relativi alla nascita del suo figlio Gesù, “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Il verbo greco tradotto qui con “meditare”, si può tradurre anche con “collegare”. Maria “collega” tutte queste cose nel suo cuore, le mette insieme e dalla fatica di questo confronto impara sempre di più ad aderire alla volontà di Dio e quindi a rendere significativo il suo tempo. Anche noi, allora, dobbiamo imparare a “collegare”. Oggi, anche attraverso la rete, siamo tutti “collegati”. Cosa invece vuole proporci Maria, parlandoci di “collegamento” da fare nel cuore?

Ci propone di fare due “collegamenti”. Prima di tutto, saper collegare tutti i “segni” che Dio “lascia” nella nostra vita per farci capire che ci vuole bene. E’ facile a volte collegare gli eventi negativi passati e dire che siamo stati sfortunati, non amati, lasciati soli anche da Dio. E’ invece importante collegare, mettere insieme le “parole d’amore” che Lui ci rivolgerà, i fiori che pianterà nel nostro giardino. E capire che sono i raggi di un unico sole, i segni di un unico amore, le mani di un volto misericordioso che per noi si è “azzardato” a mettere le tende in mezzo a noi ...

Poi è altrettanto utile saper collegare i segni dell’amore di Dio alla nostra vita, perché possa essere trasformata e diventare, per tutti gli altri, un cantico della sua grandezza. Se sappiamo far interagire la nostra vita con la sua, allora anche noi, come Maria, faremo entrare Dio in noi e saremo capaci di “generarlo” per i fratelli che abbiamo accanto. Maria è Madre di Dio ma anche noi, per dono di Dio, possiamo “partecipare” della sua maternità e, nella Chiesa, trovare modi sempre nuovi per “generare” Gesù in coloro che sperano e sognano di incontrarlo ma ancora non ci riescono ...

Allora, tanti auguri! In questo 2010 impara a “collegare” i segni del suo amore, la tua quotidianità con questi segni e il tempo che vivrai diventerà SIGNIFICATIVO! Tira fuori tutto il bene che Lui ha messo dentro di te! Auguri!