sabato 27 marzo 2010

SCHIACCIATO PER DARE SPESSORE AL NOSTRO AMORE ...


28 marzo 2010, Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Dal Vangelo secondo Luca cap. 19, 28-39
In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: "Perché lo slegate?", risponderete così: "Il Signore ne ha bisogno"». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Siamo qui, come ogni anno, con i nostri rami d’ulivo, “per benedire la palma” come si dice nel linguaggio corrente. Ma il vangelo ascoltato, “l’anima” della prima parte della celebrazione odierna, non parla di rami d’ulivo. Gesù entra in Gerusalemme su un puledro. La gente stende per terra i propri mantelli. L’espressione “rami d’ulivo” è assente, come nel brano parallelo di Giovanni. In realtà la troviamo nelle versioni di Matteo e Marco. Siamo nei pressi del monte degli Ulivi, come lo stesso Luca ci racconta. Vedendo passare Gesù, la gente taglia i rami d’ulivo dagli alberi e li getta a terra, affinché Egli ci possa passare sopra. Le “palme” non vengono usate per tenerle in mano, per alzarle in alto e sventolarle come bandiere, ma per essere “calpestate” da Gesù che cavalca un semplice asino. Dobbiamo allora anche noi gettare a terra le nostre palme? Abbiamo fatto male ad alzarle per “farle benedire”? No, perché ricevere una benedizione è sempre importante, è un grande gesto di incoraggiamento che Dio compie nei nostri confronti. Ma a cosa ci incoraggia? Ad avere “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5) che, come quei rami gettati a terra dal popolo, si è fatto “calpestare”, “schiacciare”, come ci ricorda Isaia: “Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5). Tra poco ascolteremo il racconto della Passione di Gesù, cioè la cronaca del suo “farsi schiacciare” per amor nostro, per ridarci la forza di amare, perché si stabilisca una sincronia tra lo scorrere del nostro tempo ed i battiti del suo cuore. Le palme che abbiamo tra le mani, benedette da Dio cioè divenute “strumento” per la trasmissione del suo messaggio, devono essere per noi il simbolo del vero amore, che non ha paura di farsi “schiacciare” pur di arrivare in ogni angolo di cuore, pur di dare ancora una possibilità a qualcuno che sembra del tutto perso, per aiutare tutti a rispondere all’invito al grande banchetto della resurrezione. Il consegnarsi di Gesù non è semplicemente una “resa”, un arrendersi alle dinamiche del male. E’ una IMMISSIONE di FORZA nel nostro mondo, la “proposta vivente” di un nuovo modo di affrontare i problemi. Sì, Gesù è stato schiacciato sotto il peso della croce, ma per dare spessore al nostro amore ...

giovedì 25 marzo 2010

CELEBRAZIONI PASQUALI 2010


Tanti momenti per sentire la presenza di Gesù ... morto per noi ... principio di resurrezione ...

domenica 14 marzo 2010

PASSI SCELTI Momenti di adorazione in preparazione alle processioni



11 marzo 2010
Meditazione introduttiva

"Viaggiare dovrebbe essere sempre un atto di umiltà" (Guido Piovene)

Perché i nostri padri, molti anni fa, hanno cominciato a fare le processioni? Perché non faticavano abbastanza? Oppure c’erano poche occasioni per camminare? O ancora perché il tempo bisognava in qualche modo occuparlo e perché non farlo attraverso un’esperienza di ispirazione religiosa? Evidentemente, nessuno di questi motivi. I nostri padri si mettevano in cammino, facevano questi pellegrinaggi spirituali come occasione di conversione. Si sentivano peccatori, cioè bisognosi di far entrare l’amore di Dio nei loro pensieri, nelle loro parole, nelle scelte di ogni giorno. Erano consapevoli che questo radicale cambiamento di vita poteva avvenire gradualmente, “passo dopo passo”, sofferenza dopo sofferenza, impegno dopo impegno. Questa è la vera umiltà: la forte convinzione interiore di non essere capaci di cambiare improvvisamente e soltanto con le proprie forze, ma della necessità di dover fare riferimento ogni giorno all’unico Maestro, il Signore Gesù, ascoltando la sua Parola, mettendo in pratica i suoi consigli, cercando di seguire la rotta che Lui ci propone. In altre parole, umiltà significa fare, poco alla volta, i nostri passi verso di Lui, riconoscendo che Lui per primo si è messo in cammino verso di noi, si è fatto vicino. Se la processione si fa con questa idea di fondo, mettersi umilmente in cammino per imparare a convertirsi, allora può essere un’esperienza spirituale molto fruttuosa. Altrimenti si riduce ad un grande “ingranaggio”, una spettacolare manifestazione, che forse molti guarderanno con stupore, ma che non avrà nessuna ricaduta sulla vita concreta di chi vi partecipa e di chi la guarda.

Quali sono i “passi immediati” che il Signore ti chiede di compiere per iniziare o continuare il grande viaggio della tua conversione? Falli diventare spunto per la preghiera quando ti metterai in processione ...

Meditazione sui segni: chiodi e martello

Vangelo di Luca, cap. 23 vv. 33-34
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

Nel cammino della nostra vita ...
Pensando ai chiodi e al martello, al loro utilizzo pratico, mi vengono in mente tre verbi: FISSARE, UNIRE, RINFORZARE. Ad essi collego tre possibili esperienze.
FISSARE ... anche se non sono un muratore o un falegname, anche se non faccio un “mestiere” in cui sono “costretto” ad usare spesso chiodi e martello, la prima esperienza posso trarla anche dalla mia vita. Quando mi capita di aver bisogno di chiodi e martello? Quando, per esempio, ho la necessità di FISSARE alla parete di una stanza della mia canonica un quadro, una foto, un particolare ricordo. Perché lo faccio? Non soltanto per abbellire le pareti, per farle sembrare meno vuote, ma per avere sempre, sotto gli occhi, quella foto o quel particolare oggetto che mi ricorda una persona, una parola importante ascoltata in un momento decisivo, una sofferenza che mi ha insegnato la bellezza dell’amore, una gioia che mi ha fatto assaporare il gusto dell’esistenza. Sento questa esigenza di FISSARE, di non perdere nei meandri del cuori questi “passi del passato”, perché attraverso di essi Dio mi ha lasciato tracce importanti che sono indispensabili per il mio cammino. Tutti noi sentiamo l’esigenza – se non la sentiamo “a pelle”, è il caso di riscoprirla, di farla emergere dal cumulo dei tanti nostri desideri superficiali e spesso inutili -, in questa società che è stata definita “liquida”, in questo nostro mondo contrassegnato dalla velocità con cui bisogna fare le cose (A. Giddens parla di “mondo in fuga”), di avere dei punti FISSI, di FISSARE per ricordare, cioè tornare con il cuore ogni volta che ne abbiamo bisogno, ciò che veramente ci tiene in vita, che è indispensabile come l’aria. I momenti in cui siamo stati amati e abbiamo amato ...
UNIRE ... un falegname utilizza chiodi e martello per unire due pezzi di legno, per arrivare a costruire nuove forme, oggetti che possano essere utili alla vita di tutti i giorni. Non esiste in natura il legno a forma di sedia, di tavolo o di guardaroba. E’ indispensabile tagliare il legno, ricavarne un certo numero di parti e poi, chiodi e martello in mano, unirli per realizzare l’oggetto progettato. I pezzi devono essere uniti saldamente tra loro, in modo che la durata del manufatto possa durare un lungo numero di anni. Tutto sta nell’arte dell’UNIRE. In questo verbo ritrovo un’altra grande esigenza della mia vita e spero anche della vostra. Essere un prete semplicemente a servizio dell’unico Maestro, cercare di portare unità, insegnare ad abbattere i muri che si costruiscono con le incomprensioni e gli immediati chiarimenti, far capire che il segreto della vera gioia è un cuore pacificato, capace di diffondere a tutti la grande bellezza dell’unità. Non credo nelle traversate solitarie, non desidero gesti eroici dove sia soltanto io il protagonista, non aspiro a personali riconoscimenti. Voglio provare a fare tutto in UNITA’, insieme a fratelli e sorelle che sono parte essenziale della mia vita, anche se questo significa aspettare i ritardatari, incoraggiare gli sfiduciati, perdonare coloro che hanno sbagliato. Credo con forza in queste parole di don Lorenzo Milani: “O ci salviamo tutti o non si salva nessuno!” ...
RINFORZARE ... ma il falegname non costruisce soltanto manufatti “ex novo”. Gli capita anche di riparare mobili già usati, di dover fare un’opera di restauro. Ed anche in questo caso eccolo con chiodi e martello, per RINFORZARE quei pezzi di legno che sono ancora uniti ma non saldamente come prima. Il mobile è ancora utilizzabile, ma c’è bisogno di rinforzare qualche parte, per evitare che accada un danno non più riparabile. Anche questa semplice operazione di falegnameria mi fa venire in mente un’importante esigenza della mia vita. Mi sento unito a molte persone, credo di avere tanti amici, mi fido di tante persone, che conosco più o meno bene. Questa unità, però, ha bisogno sempre di essere RAFFORZATA. A volte sono determinati momenti difficili che allentano l’unità, altre volte una certa trascuratezza del rapporto interpersonale, altre ancora un certo affievolirsi del legame d’amore. In questi casi, se l’UNITA’ è un’esigenza VITALE, si interviene per RAFFORZARE, per custodire quel legame che attraversa un momento difficile, per non perdere il bene fatto e difendersi dal male che avanza e distrugge. L’amore non è mai un progetto a termine, continuamente deve essere custodito e rafforzato ...

Quali parole, momenti, gioie, difficoltà sono FISSATI nel nostro cuore e, ricordandoli, riusciamo a vivere meglio? Siamo consapevoli che il nostro destino è quello di essere UNITI, una cosa sola? Chiediamo al Signore la forza di costruire questo destino e di RAFFORZARLO quando c’è bisogno ...

Alla scuola del Vangelo ...
Chiodi e martello sono il frutto dell’ingegno dell’uomo. Nascono come strumenti per aiutarlo a far diventare realtà i suoi progetti, affinché la sua vita possa essere migliore. Ma il cuore dell’uomo, quando si chiude alla via del bene, può utilizzare anche questi stessi strumenti in un “contesto di morte”, per esempio per inchiodare alla croce un uomo. Per Gesù chiodi e martello, da strumenti inventati per il bene dell’uomo, sono stati “ridotti” a “fiori del male”. Egli però non ha soltanto subito la crocifissione. L’ha scelta. Non si è andato a cercare questo terribile supplizio, anzi nel Getsemani ha tentato di evitare “il doloroso calice”, ma dopo aver obbedito alla volontà del Padre, ha attraversato quella “porta stretta” come un grande gesto d’amore per gli uomini di ogni tempo, terra e stirpe. Con la morte in croce, supplizio destinato ai più poveri dei poveri, ha inciso nel cuore di tutti un fondamentale messaggio. Quale? Torniamo ai verbi di prima ...
FISSARE ... Gesù, inchiodato alla croce, ha FISSATO per sempre, per tutti noi viaggiatori nella storia, il modo con cui si ama veramente. Il male non si combatte con il male. Se necessario, si subisce, si porta in sé e lo si combatte con la forza contraria del bene. Il male non può essere subito e ribattuto, ricevuto e rimesso in circolo nella storia. Una volta che ci ha toccato, che è entrato nella nostra carne, deve essere vinto con la potenza dell’amore, essere distrutto con il fuoco di un donarsi sincero. Così il male si distrugge, non torna ad essere seminato nella storia e a portare cattivi frutti. Gesù, inchiodato alla croce, ci ha insegnato un metodo per “purificare” la storia dai suoi egoismi e dalle sue inutile lotte o prese di posizione ...
UNIRE ... Cosa ti può dare il coraggio di esporti indifeso al male, di portarlo, come una croce, sulle tue spalle, e di vincerlo, battaglia dopo battaglia, con la forza del bene che Lui riversa in te? Soltanto la speranza di un traguardo da raggiungere, una meta da toccare. Tutto si fa per l’unità, per essere, nella nostra unicità, un solo corpo. Gesù ha nel suo cuore una profonda convinzione: l’umanità è un corpo che va salvato totalmente, non solo alcune sue parti. In un modo o in un altro, tutti dobbiamo ritrovarci al “tavolo della salvezza”, tutti dobbiamo portare a compimento quella vocazione iniziata con il Battesimo, la chiamata alla santità. Gesù non ha paura, anzi è convinto, che sia meglio sacrificare un bene personale, anche quello della propria vita, pur di rendere un servizio alla concreta unità di tutti ...
RAFFORZARE ... La forza della croce è anche un nuovo collante per tutti quei legami che rischiano di sfaldarsi, che sembrano non reggere allo scorrere del tempo. Il suo amore FISSATO per sempre sulla croce, rimesso al centro dei propri pensieri, è un ottimo ricostituente dell’unità, di quei rapporti che si sono raffreddati, di quelle relazioni che sono ferme a rancori e dissensi non risolti. Sul piano dell’UNITA’ c’è tanto da costruire, ma forse ancora di più da ricostruire. Forse tante amicizie ormai le consideriamo ormai morte, irrecuperabili. Ed invece c’è soltanto bisogno di ritornare alla forza rinnovatrice della croce, alla sua eterna novità. E qualcosa che ti appare morto potrebbe non solo “tornare in vita”, ma ridiventare una delle grandi ricchezze della tua vita...

Chiedo con insistenza al Signore inchiodato alla croce di insegnarmi ad amare come Lui ... è questo il giro di boa da fare per essere veramente cristiani ...

venerdì 5 marzo 2010

C'E' ANCORA TEMPO ...


5 marzo 2010, venerdì della 2° di Quaresima

Dal Vangelo secondo Matteo cap. 21 vv.33-43.45
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: "Avranno rispetto per mio figlio!". Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: "Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
"La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d'angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi"?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.


Dio Padre, il grande ed amorevole vignaiolo di quella vigna che è la nostra storia, ma anche la storia del mondo, di tutto l’universo, si affida a coloro che veramente credono in Lui – un popolo che ne produca i frutti – per continuare il suo progetto d’amore. Facciamoci una domanda e cerchiamo di darci una risposta: possiamo sentirci parte di questo popolo che Dio sceglie per collaborare al suo disegno d’amore? Siamo capaci, con il nostro “lavoro”, di produrre frutto? La nostra fede è salda tanto da poter “spostare le montagne”, trasformare anche il deserto in terra fertile, in modo che i semi piantati diventino alberi carichi di frutti?

Un si pieno e convinto a queste domande è difficile darlo. Facciamo i conti ogni istante con la nostra “poca” fede. Forse nei momenti in cui ci sentiamo più sicuri, basta un attimo per cadere, “dimenticarci” del suo amore, mettere da parte le sue indicazioni per il nostro itinerario di santità. La nostra fiducia in Lui è molto instabile, a correnti alterne. Anche per questi motivi, il raccolto è sempre insufficiente, pensiamo che avremmo potuto fare una raccolta molto più abbondante. E questo porta a chiedersi: ma Dio continuerà a fidarsi di noi? Avrà pazienza della nostra fede che è sempre rasoterra e non riesce a volare? Si accontenterà all’infinito delle nostre mani cariche di pochi frutti?

Mi consola quell’espressione: “Gli consegneranno i frutti a suo tempo”. Dio non misura il tempo come lo misuro io. Quando ho la sensazione che il tempo per riprovarci, per tentare ancora sia finito, sono certo che per Dio c’è ancora. Quando penso che ormai sia giunto il momento del giudizio, che ci sia soltanto la possibilità di presentarmi davanti a Lui con un risultato molto al di sotto delle aspettative, sono certo che mi fa capire che c’è ancora la possibilità della “rivincita”. Certo, tutti questi pensieri non possono essere una scusante per rimandare sempre. Però, dopo che ti sei impegnato e non sei riuscito a mietere tutto il frumento che volevi e, umanamente, hai la sensazione che il tempo sia scaduto, Dio ti viene incontro con il “cronometro” del suo amore, e ti dice che non è stato fermato, ma ancora scorre ... ancora c’è tempo ... Se non fai nulla per alimentare la tua fede, il tempo avanza e non potrai più recuperarlo ... se vivi la tua fiducia in Lui con tutto il cuore, l’anima e le forze, dopo l’analisi dei primi risultati, spesso scarsi, ti accorgi che c’è ancora un po’ di tempo ...

giovedì 4 marzo 2010

PASSI SCELTI Momenti di adorazione in preparazione alle processioni


4 marzo 2010

Meditazione sul secondo segno: la veste regale

Vangelo di Luca cap. 23 vv. 1-12
Tutta l'assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re". Pilato allora lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici". Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: "Non trovo in quest'uomo alcun motivo di condanna". Ma essi insistevano dicendo: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui". Udito ciò, Pilato domandò se quell'uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l'autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell'accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

Nel cammino della nostra vita ...
Pilato, dopo un primo colloquio con Gesù, lo manda da Erode. Un gesto di “furbizia politica”, un’attenzione tutta dettata da interessi personali. Grazie a questo gesto l’inimicizia che prima c’era stata tra i due si trasforma in amicizia. Chiaramente non un legame sincero, reso forte dalla potenza dell’amore, ma totalmente opportunistico, sottoposto ad un vantaggioso scambio di favori. Una nuova strategia comune atta a rinforzare la propria sete di potere e di guadagno. Queste sono le logiche di fondo che spingono ad agire Pilato ed Erode. Questo è il modo con cui esercitano la loro regalità (anche se, a dire il vero, entrambi non sono dei veri e propri re – Pilato è un governatore, Erode un tetrarca). Il popolo, le persone che sono chiamati a governare, non sono il fine di tutti i loro sforzi, perché ognuno possa raggiungere il bene personale in armonia con quello della comunità, ma il mezzo per arrivare alla soddisfazione di interessi prettamente personali. Gesù, prima della sua passione, aveva già espresso questo pensiero ai suoi apostoli: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono” (Mt 20,25). Se pensiamo alla figura del re, chi ci viene in mente? Non avendo nella nostra Italia più il re, pensiamo al presidente della repubblica, al presidente del consiglio, ai presidenti di camera e senato, ai governatori di regione, ai presidenti di provincia, ai sindaci. A tutti coloro che sono stati chiamati, attraverso il voto, a lavorare per il nostro bene, per la serenità del nostro presente, ma soprattutto del futuro. Quante volte possiamo sperimentare che non lavorano al servizio della gente, ma agiscono soltanto in base a logiche di interesse personale? Questo ha fatto nascere in ognuno di noi una certa sfiducia. Quando pensiamo al “re”, istintivamente, pensiamo più ad un personaggio negativo che positivo ...

Alla scuola del Vangelo ...
Gesù, dopo aver parlato del modo di agire dei re della terra, continua: “Tra di voi non sarà così; ma chi vuol diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,26-28). Ci può essere un altro modo di essere “re”, di stare a capo di una comunità, di una nazione. Il vero re è colui che si mette a servizio del suo popolo, che quando infuria la battaglia combatte in prima linea, che nel tempo della sofferenza è il primo a lenire le ferite e portare coraggio. Il vero re è Cristo, che si fa arrestare, si lascia portare prima da Pilato e poi da Erode, accetta anche di farsi prendere in giro – la veste che Erode gli dona è un gesto di beffa – pur di amare il suo popolo, di offrirgli una strada per mettersi alle spalle i propri peccati. Cristo è il re che, invece di restarci incollato, scende dal trono per aiutare i suoi figli a sentirsi parte della sua grandezza, della meraviglia del suo amore. E noi, oltre ad essere destinatari del suo servizio, possiamo diventare suoi collaboratori. E imparare a servire come il nostro re ...

Sperimento nella mia quotidianità la bellezza di essere figlio di Dio, mio Re? Mi sento da lui servito? Provo ad essere suo collaboratore, a vivere servendo come ha fatto lui?

PASSI SCELTI Momenti di adorazione in preparazione alle processioni


4 marzo 2010

Meditazione introduttiva

"Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto."

Ho scelto questi versi di Henry David Thoreau, scoperti attraverso il bellissimo film “L’attimo fuggente”, per accompagnare i primi passi del mio sacerdozio. Erano scritti sull’immagine-ricordo che fu distribuita a tutte le persone presenti alla mia prima Eucarestia presieduta nella mia parrocchia d’origine, “S. Maria delle Grazie” in Massa Lubrense. Li ricordo con gioia prima di tutto a me stesso, per rilanciarmi con spirito sempre nuovo nella grandiosa avventura del presbiterato. Li dono a voi questa sera, perché sono convinto che possano aiutarci ad aggiungere un altro pezzo al “puzzle” di una partecipazione consapevole e convinta ai riti della settimana santa. Le processioni non possono non essere che un cammino per trovare la vera saggezza, cioè la capacità di “spendere” il proprio tempo nei “fatti essenziali” della vita. Il cammino esteriore – il passaggio per le strade della nostra parrocchia con i segni della passione tra le braccia o le note degli inni della passione pronti ad uscire dalle nostre gole – è soltanto uno strumento per compiere un cammino interiore, per entrare in quel “bosco” che è il tuo cuore e mettere a fuoco, tra tutti gli alberi, quello che ti ha ridato la vita. E’ l’albero della croce, come ci ricorda un bellissimo inno della celebrazione del venerdì santo: “O croce di nostra salvezza, albero tanto glorioso, un altro non v’è nella selva, di rami e di fronde a te uguale. Per noi dolce legno, che porti appeso il Signore del mondo!”. Una volta trovato l’albero della nostra salvezza, ci renderemo conto che esso è anche una scala per il cielo, per rispondere alla chiamata di Dio che tutti ci vuole intorno alla sua mensa. Questo è il passaggio fondamentale che siamo chiamati a compiere: dalla processione esteriore al cammino verso Dio, passando per una sincera processione interiore.

Hai scoperto dentro di te l’albero della croce? Hai trovato in esso sostegno ed incoraggiamento?

Meditazione sul primo segno: il gallo

Vangelo di Luca, cap. 22 vv. 54-62
Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. 56Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: "Anche questi era con lui". 57Ma egli negò dicendo: "O donna, non lo conosco!". 58Poco dopo un altro lo vide e disse: "Anche tu sei uno di loro!". Ma Pietro rispose: "O uomo, non lo sono!". 59Passata circa un'ora, un altro insisteva: "In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo". 60Ma Pietro disse: "O uomo, non so quello che dici". E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. 61Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". 62E, uscito fuori, pianse amaramente.Nel cammino della nostra vita ...

Cosa fa il gallo? Tutti spontaneamente rispondiamo: “Canta!”. Il canto del gallo, nella lingua italiana, è un espressione idiomatica per indicare l’alba, cioè quando il buio della notte comincia a lasciare spazio al chiarore delle prime luci del giorno e l’orizzonte “si tinge” di un bellissimo colore rosaceo. In questo lasso di tempo, spesso anche prima, il gallo comincia a cantare. E’ un suono che diventa sempre meno familiare ai nostri orecchi. Chi vive in campagna o ha la fortuna di avere un po’ di spazio dove poter allevare polli, può fare riferimento anche ad un’esperienza quotidiana. Per la maggior parte di noi il canto del gallo è stato sostituito dai suoni elettronici delle nostre sveglie che, sempre troppo presto, ci avvisano che una nuova giornata sta per incominciare. Ci alziamo, ci prepariamo, usciamo di casa per le diverse attività che ci aspettano, facciamo i salti mortali per dare una risposta a tutte le nostre esigenze e a quelle delle persone che ci sono accanto. La giornata, volente o nolente, deve iniziare. Ma è iniziata davvero? E’ suonata quella “sveglia interiore” che mi chiama ad un nuovo giorno da vivere con la creatività del mio amore? Ho sentito la bellezza e la responsabilità di dover dare senso ad un nuovo giorno? Il canto del gallo, o il suono della mia sveglia, mi coglie pronto a plasmare l’argilla di un nuovo giorno oppure si scontra con la mia stanchezza, impreparazione, sfiducia? Quando il gallo canta il nostro cuore dovrebbe sussurrare sempre, ogni mattina: “Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore!” (Ct 5,2)

Alla scuola del Vangelo ...
Quando il gallo canta, Pietro finalmente si sveglia dal sonno. Si accorge di essersi allontanato dal cuore del suo Signore, si essersi perso nelle tenebre dell’autosufficienza, dell’incapacità di fidarsi. Aveva seguito Gesù “da lontano”. Non “da vicino”, come aveva fatto in tutti gli anni del ministero pubblico di Gesù, sempre pronto a seguire i suoi passi, a farsi portavoce degli apostoli per chiedergli chiarimenti e delucidazioni, addirittura per dirgli cosa era giusto fare e cosa non fare. Ma adesso, dopo aver visto Gesù dirigersi decisamente verso Gerusalemme, il suo arresto nell’orto degli ulivi, il suo netto rifiuto da parte sua di far ricorso alle armi per sfuggire alla cattura, non riesce a “stargli dietro”. Si allontana. E così perde anche consapevolezza della sua vera identità. Intorno ad un fuoco, viene incalzato dalle domande di persone che lo riconoscono. Risposta dopo risposta, si inoltra nel buio del peccato, si “addormenta”, chiude gli occhi alla vera luce. Prima nega di conoscere Gesù, poi di essere uno dei suoi discepoli, infine addirittura di essere un galileo. Come già preannunziato da Gesù, arriva alle sue orecchie il canto di un gallo. E finalmente si ridesta, sente il contrasto tra quel canto e la condizione del suo cuore, che è ancora abitato dalle tenebre. E piange. Quel torrente di lacrime apre nuovi varchi nel suo cuore, gli fa comprendere tante cose: la grandezza del sacrificio di Gesù, il suo essere “sole che sorge” per gli uomini di ogni tempo, la necessità di farlo diventare “punto di appoggio” per la “leva” della nostra vita. Quel canto è il segno di una nuova epoca, che chiede di essere vissuta con un cuore nuovo. “Il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire” (Ct 2,12). E’ urgente risvegliarsi dal sonno, andare verso di Lui: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!” (Ct 2,13).

Ogni mattino, sento soltanto la mia sveglia (una nuova giornata inizia!) oppure anche quella del Signore (un nuovo giorno per amare!)? Sento il contrasto tra il mio “dormire”, il mio “stare nelle tenebre” e la voce del Signore che mi chiama ad essere sveglio per donare, ad essere figlio della luce?

La gioia di averti accanto ...


4 marzo 2010, giovedì della 2° di Quaresima

Dal Vangelo secondo Luca cap. 16 vv. 19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».


“Hanno Mosè e i profeti”. Questa frase, usata da Abramo nei confronti del ricco che, dopo aver sempre vissuto in un lusso esagerato non prendendosi mai cura di un povero, Lazzaro, che mendicava alla sua porta, in questo contesto ha un forte contenuto polemico. Il ricco vorrebbe una “ambasciata speciale” rivolta ai suoi fratelli, per incitarli caldamente a cambiare strada. Abramo dice non soltanto che non è possibile, ma che sarebbe inutile e superfluo. Inutile, perché comunque non basterebbe a provocare un netto cambiamento di rotta della loro vita. Superfluo perché Dio ha già rivolto a tutti gli uomini l’appello alla salvezza, ha già comunicato la strada da percorrere, ha già assicurato la sua costante presenza, il suo incoraggiamento, la condivisione di qualsiasi nostro vissuto. “Hanno Mosè e i profeti”. Noi cristiani possiamo dire ancora di più: “Abbiamo Mosè e i profeti e soprattutto Colui che da loro è stato annunciato e prefigurato, Cristo Gesù”.

Staccandoci per un attimo dal contesto “giudiziario”, prendiamo questa frase per arricchire il nostro ringraziamento quotidiano, per poter esprimere a Dio la nostra gioia per averlo, da sempre e per sempre, come Padre, Fratello e Amico. Proviamo ad essere orgogliosi – perdonatemi il termine – del nostro Dio. Egli ci propone ogni giorno un progetto per il quale ci offre una assistenza completa. Soprattutto nell’ascolto della Scrittura e nella condivisione del suo Corpo, siamo spinti con grande forza ad andare avanti. Sì, le sfide che ci aspettano ci sembrano troppo grandi per le nostre forze. Ed è vero. Però è tutta un’altra cosa sapere di averLo accanto, che Egli sta combattendo al nostro fianco e non ci lascerà soli, indifesi in mezzo alla battaglia. Come ci ricorda un verso del magnifico salmo 91: “”Si, mio rifugio sei tu, o Signore!”. Tu hai fatto dell’Altissimo la sua dimora: non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le sue vie” (vv. 9-11). Oggi, prima di pensare a cosa fare per Lui – questo modo di pensare dovrebbe diventare quello di ogni giorno -, proviamo a gustare tutta la contentezza di avere Dio al nostro fianco, il nostro orgoglio di creature di avere un Dio che non ha paura di scendere al nostro livello, di farsi nostro servo ... con questa gioia alimentiamo il deposito della nostra fede ...

martedì 2 marzo 2010

Bellezza interiore ed esteriore


2 marzo 2010, Martedì della 2° di Quaresima

Dal Vangelo secondo Matteo cap. 23 vv. 1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».


Il culto dell’apparenza, più o meno, contagia tutti noi, influisce sul nostro modo di pensare, fare scelte, tessere relazioni. Si insinua nel nostro cuore e ci fa credere che è meglio occuparsi prima dell’ESTERNO, della facciata, e poi dell’INTERNO, del nostro mondo interiore. E’ più importante sfuggire al giudizio degli altri, che subito porta a sentenze anche durissime sulla base della sola “facciata”, che mettersi seriamente in discussione, rinvigorire la terra del nostro animo, utilizzando le giuste tecniche di coltivazione, predisponendo un soddisfacente impianto di irrigazione, facendo uso di specifici fertilizzanti. La prima preoccupazione è quella di impedire a qualunque persona – amico o nemico – di imprigionarci in una “nominata”, come si dice nel nostro caro dialetto, dalla quale, come una cella in un carcere duro su un’isola deserta, è quasi impossibile sfuggire. Di tutto questo modo di fare, cos’è che non funziona? Qual è il punto debole di questo castello di pensieri, che è fragile da buttare giù come un castello di carte o di sabbia? La presunta disconnessione tra bellezza interiore ed esteriore. Il pensare che interno ed esterno siano come due mondi separati, da curare con modi diversi ed in tempi diversi. Ed invece ...

Gesù ci ricorda che la vera bellezza esteriore non può che essere il frutto di una bellezza interiore cercata, voluta, conquistata giorno per giorno. Chi parla di bellezza esteriore, slegata da qualsiasi impegno di purificazione del cuore, sta parlando in realtà di semplice apparenza, come un guscio vuoto, come una tomba di un uomo ricco, grande e piena di ornamenti, ma al suo interno piena di ossa come tutte le altre. La bellezza esteriore, invece, non può che essere lo sbocciare di un fiore piantato in un terreno fertile, l’emissione di un florilegio di note da uno strumento musicale, lo scorrere di un torrente che nasce da una fonte ad alta quota. Il terreno fertile, lo strumento musicale, la fonte ad altra quota sono la cura della bellezza interiore.

Allora ci troviamo ad un bivio: curare prima la nostra “apparenza”, per difenderci dal giudizio degli altri, e poi, se c’è tempo e voglia, mettere mano alla cura dell’animo, oppure iniziare dalla purificazione del cuore, correndo anche il rischio di apparire male, pur di far emergere una bellezza esteriore vera, non soltanto effimera ma duratura? Gesù, con convinzione, ci consiglia la seconda strada ...

lunedì 1 marzo 2010

Amando te, fratello, riscopro di essere amato (da Lui)!


1 marzo 2010, lunedì della 2° settimana di Quaresima

Dal Vangelo di Luca cap. 6 vv. 36-38
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».


E’ vero che prima di tutto l’ASCOLTO di Dio, la capacità di leggere i suoi tanti appelli nella nostra quotidianità - il sole che sorge ogni giorno, il dono del tempo, la bellezza dell’amicizia, un povero che tende la mano, la gioia di una giornata vissuta nell’amore, il chiarore delle stelle - , ci permette di fare SCELTE veramente evangeliche. Perché il vangelo è prima di tutto una carica positiva da incamerare, custodire tra le cose più care, e poi da “rimettere in gioco” nelle tante pieghe della nostra storia. Il cristiano è un creativo nel senso che, ascoltato il messaggio di fondo da Dio, riesce a comunicarlo attraverso l’originalità del suo carattere, dei suoi talenti, delle sue capacità comunicative. Ma non può esserci autentica creatività se non come risposta al suo continuo creare amore dentro di noi.

E’ però anche vero che la pratica della “bella notizia” mette in condizione di comprendere meglio cosa Dio fa e può fare per ciascuno di noi. Vivere il vangelo significa trovare, o almeno cercare, in ogni momento un modo per scorrere come amore nella vita dell’altro. Facendo così, ti accorgi di quanto puoi essere importante per altro. Il tuo apporto non è trascurabile ma fondamentale. Ti rendi conto che l’altro, attraverso la tua cura, diventa migliore, si rialza se è caduto, viene incoraggiato a raggiungere i suoi obbiettivi, si apre ad orizzonti che non aveva mai immaginato. Il tuo sforzo di comunicazione del Vangelo lo rende capace di meglio sentire tutta la profondità della vita.

Se tu, uomo piccolo e fragile, che sei stato “fatto poco meno di un dio” (Sal 8,6), puoi fare tanto per la vera gioia di un tuo fratello, immagina quanto può fare, anzi fa, Dio per te. Se un tuo gesto di misericordia aiuta un fratello a non sprofondare nel gorgo dello sconforto, pensa quanto la misericordia del Padre può tenerti a galla nelle situazioni più difficili. Se la tua “sospensione del giudizio” permette ad un tuo fratello di non essere marchiato a fuoco come un condannato senza possibilità di ripresa, pensa quanto il non-giudicarti negativamente di Dio ti mette in condizione di ricominciare sempre, anche dopo errori madornali.

L’amore donato ai fratelli, le cose grandi che in loro riesci a fare, ti fanno capire quante cose ancora più grandi Dio ha fatto e farà in te ...