venerdì 21 maggio 2010

MESE DI MAGGIO 2010 18a puntata


Sabato 22 maggio 2010


Dal Vangelo di Giovanni cap. 19 vv. 28-29
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: "Ho sete". Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.

La precedente parola – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? – è l’attacco del salmo 22, che Gesù sceglie di fare suo per comunicare al Padre quello che sente nel cuore. Il salmista descrive la sofferenza che patisce ingiustamente con immagini molto concrete. Ha sete, soffre di una terribile arsura, tant’è che la sua lingua si è incollata al palato (cfr. v.16). Il v. 22 del salmo 69 è ancora più preciso nella descrizione: “...quando avevo sete mi hanno dato aceto ...”. Gesù ha sete. E’ assolutamente normale, visto la terribile pena a cui è stato sottoposto, la difficoltà a respirare, il lento e penoso movimento sulla croce per cercare di “rubare” ancora un attimo di vita. Ed è anche “normale” per certi verso il gesto di alcuni presenti, che gli accostano alla bocca una spugna imbevuta di aceto. Potrebbe essere un gesto di misericordia – una bevanda offerta allo scopo di “offuscare” la coscienza e lenire il dolore – oppure di scherno – provate a bere aceto quando siete assetati e vi renderete conto che non è una bella sensazione! -.
Superando il livello della “normalità”, cerchiamo di vedere qualcosa in più. Tutti i commentatori di Giovanni, a cominciare dai padri della Chiesa, evidenziano che la sete di Gesù non è soltanto “fisica”, ma “spirituale”. Egli cita questa frase per donarci un ulteriore sfumatura del grande significato della morte di Cristo. Tra l’altro, Gesù dice: “Ho sete!” per adempiere le Scritture, per esprimere con più chiarezza qualcosa che nella storia della salvezza era stato già preannunciato. E’ una frase-chiave, una parola-simbolo che ci permette di rispondere alla domanda: “Cos’è l’amore?”. L’amore o è una SETE, una esigenza profonda, direi “viscerale” – per la Bibbia la sede dei sentimenti è nelle viscere, Dio ha viscere di misericordia – oppure non è vero amore. O è un fiume in piena che ti nasce dentro e vuole rompere gli argini per uscire fuori oppure è solo apparenza, come un pacco bel rivestito, con carta colorata e fiocco, che dentro non ha nulla. Di cosa l’amore vero ci fa avere sete? Vincenzo Paglia risponde con queste parole che trovo straordinarie: “L’amore consiste dunque nell’avere sete degli altri e non soltanto di se stessi, nell’essere capaci di dissetare gli altri perché non abbiano più sete”.
Spesso utilizziamo tutto il tempo a colmare la “sete” di cose che riguardano esclusivamente il nostro benessere, i nostri equilibri, il nostro tornaconto. Non riusciamo a guardare aldilà del nostro naso e facciamo di tutto per portare soltanto acqua al nostro mulino. Amare significa “avere sete” degli altri, della loro gioia, di un cammino entusiasmante da fare insieme, di una meta verso cui guardare in comune da raggiungere ognuno con le proprie gambe ed il proprio passo. Questa è la “sete del servizio”, quel “fuoco interiore” che ti porta a farti piccolo con i piccoli, ultimo con gli ultimi, consapevole non soltanto di “fare un piacere” ad un altro, ma di soddisfare la tua sete di felicità, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Questo modo di pensare, ma soprattutto di “fare”, è contagioso: educa gli altri a non avere soltanto sete di se stessi, ma di mettersi in ascolto delle arsure degli altri. Gesù, assetato di averci accanto a sé, con Lui “cittadini” del cielo, ha chinato il capo sulla nostra sete e, dalla croce, ci ha donato l’acqua viva che, come aveva già detto alla Samaritana, zampilla per la vita eterna. Lui, che è la Sorgente, accetta di farsi “sete” per “dissetarci” del suo amore a invitarci, a nostra volta, a “dissetare” i nostri fratelli.
Immaginiamo che Gesù ci scriva una lettera, che potrebbe iniziare così: “Caro Tonino, ho sete di te, lasciati dissetare ...”

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