Lunedì 24 maggio 2010
Dal Vangelo di Giovanni cap. 19 vv. 28-29
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: "Ho sete". Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.
La sete di Cristo è il suo desiderio di amarci, di “riversare” su di noi tutto il suo amore. Egli non soltanto ci accoglie con il suo amore, ma ci CERCA. Il suo amore è RICERCA (eros) e contemporaneamente Dono (agape). Così scrive Benedetto XVI nella sua prima enciclica “Deus Caritas est”: “L’unico Dio in cui Israele crede, invece, ama personalmente. Il suo amore, inoltre, è un amore elettivo: tra tutti i popoli sceglie Israele e lo ama – con lo scopo però di guarire, proprio in tal modo, tutta l’umanità. Egli ama, e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche totalmente agape”. La sete di Cristo è anche il “grido” di tanti fratelli che vivono ai margini della nostra società, che dobbiamo imparare ad ascoltare e a cui siamo chiamati a dare una risposta. Ascoltiamo la testimonianza di Giovanna, che ci aiuterà ad aprire occhi e cuore sulla sete di tanti intorno a noi ...
Ehi voi, ehi noi, avete ascoltato? HA SETE…
L’Amore ha sete, l’Amore più puro ha una necessità, ha un bisogno vitale..Gesù ha sete di ognuno di noi, ha necessità di noi! e noi siamo disposti a dissetarlo? noi siamo disposti ad “alimentarlo”? io credo che ad ognuno di noi chieda qualcosa di preciso e concreto, eppure una goccia fondamentale per far sopravvivere l’Amore in un Mondo dove spesso non trova disponibilità e accoglienza, dove incontra cuori chiusi … io credo che ognuno di noi ha sete, il cuore di ognuno di noi ha bisogno di alimentarsi d’Amore, altrimenti si avvizzisce e muore..
Io posso dire ad ognuno di voi che nel mio piccolo ho sperimentato “il ciclo dell’acqua” pensando di restituire la mia piccola goccia d’Amore alla richiesta d’aiuto che Gesù fa in croce “HO SETE”, mi sono ritrovata a ricevere fiumi d’acqua, ho scoperto di avere sete e non lo sapevo, non me ne accorgevo in questo mondo fatto di impegni spesso più stressanti che altro..
Ho scoperto che quest’acqua purifica il cuore e rende limpidi gli occhi..
Io ho la fortuna di collaborare con il progetto DREAM, della Comunità di Sant’Egidio, che si occupa della lotta alla Malnutrizione e all’AIDS in 10 paesi africani (per ora..) Ho avuto ed ho il dono di trascorrere diversi mesi all’anno in Africa in luoghi dove acqua potabile da far bere alle nostre bocche ce n’è poca..ma vi assicuro che di acqua per il cuore ce n’è tanta … ci sono sorrisi di bambini che commuovono il cuore, sguardi di donne adulte che entrano nel profondo, l’abbraccio e il grazie di un carcerato per un’ora trascorsa con loro, che ti fanno vibrare l’anima … e potrei parlare all’infinito..eppure voglio dire che non bisogna arrivare in Africa per comprendere che il nostro cuore ha sete … Basterebbe , con una predisposizione d’animo differente dal solito , passeggiare per la bella Sorrento e penisola e invece di “mollare con indifferenza” una monetina, guardare negli occhi quella persona, bianco, nero o immigrato che sia, provargli a chiedere il nome e offrirgli un sorriso e scopriremmo che qualcosa in noi accade, comprendiamo che non siamo noi a dissetare qualcuno, ma quel qualcuno, quel gesto d’amore che disseta noi..Possiamo così pensare a tutti coloro che sono meno fortunati, i più poveri del nostro paese, nelle nostre famiglie … ai nostri amici …. Non sono forse i poveri tutti, in qualsiasi paese, vicini e lontani gli amici, o meglio i fratelli più cari di Gesù?
Mi è piaciuto pensare all’idea del ciclo dell’acqua paragonato all’Amore: piove dal cielo, riempie i mari, lava lo sporco e ritorna al cielo. Così l’Amore: Gesù viene e ci disseta, si dona a noi ed è in ognuno di noi..ma ci chiede poi di “liberare” la goccia d’Acqua che è in noi, affinchè completi il ciclo, si diffonda nel Mondo sino a ritornare al cielo …. anche l’Amore ha sete, ha bisogno di ognuno di noi.
Gesù è concreto e pratico, ci insegna che accanto a ciò che ascoltiamo e proclamiamo dobbiamo testimoniare con la vita..come?
“Aiuta il prossimo … Ama il prossimo tuo come te stesso … C’è più gioia nel donare che nel ricevere”
Non ci dice altro che DISSETA E SCOPRIRAI CHE TU STESSO SEI STATO DISSETATO … e allora auguro ad ognuno di noi di poterci dissetare dell’acqua dell’Amore … e soprattutto adesso che Gesù chiede di noi … possiamo tirarci mai indietro?
L’esercizio di oggi è questo: “Guardo alla sete intorno a me ... e dentro di me ...”
lunedì 24 maggio 2010
MESE DI MAGGIO 2010 19a puntata
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venerdì 21 maggio 2010
MESE DI MAGGIO 2010 18a puntata
Sabato 22 maggio 2010
Dal Vangelo di Giovanni cap. 19 vv. 28-29
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: "Ho sete". Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.
La precedente parola – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? – è l’attacco del salmo 22, che Gesù sceglie di fare suo per comunicare al Padre quello che sente nel cuore. Il salmista descrive la sofferenza che patisce ingiustamente con immagini molto concrete. Ha sete, soffre di una terribile arsura, tant’è che la sua lingua si è incollata al palato (cfr. v.16). Il v. 22 del salmo 69 è ancora più preciso nella descrizione: “...quando avevo sete mi hanno dato aceto ...”. Gesù ha sete. E’ assolutamente normale, visto la terribile pena a cui è stato sottoposto, la difficoltà a respirare, il lento e penoso movimento sulla croce per cercare di “rubare” ancora un attimo di vita. Ed è anche “normale” per certi verso il gesto di alcuni presenti, che gli accostano alla bocca una spugna imbevuta di aceto. Potrebbe essere un gesto di misericordia – una bevanda offerta allo scopo di “offuscare” la coscienza e lenire il dolore – oppure di scherno – provate a bere aceto quando siete assetati e vi renderete conto che non è una bella sensazione! -.
Superando il livello della “normalità”, cerchiamo di vedere qualcosa in più. Tutti i commentatori di Giovanni, a cominciare dai padri della Chiesa, evidenziano che la sete di Gesù non è soltanto “fisica”, ma “spirituale”. Egli cita questa frase per donarci un ulteriore sfumatura del grande significato della morte di Cristo. Tra l’altro, Gesù dice: “Ho sete!” per adempiere le Scritture, per esprimere con più chiarezza qualcosa che nella storia della salvezza era stato già preannunciato. E’ una frase-chiave, una parola-simbolo che ci permette di rispondere alla domanda: “Cos’è l’amore?”. L’amore o è una SETE, una esigenza profonda, direi “viscerale” – per la Bibbia la sede dei sentimenti è nelle viscere, Dio ha viscere di misericordia – oppure non è vero amore. O è un fiume in piena che ti nasce dentro e vuole rompere gli argini per uscire fuori oppure è solo apparenza, come un pacco bel rivestito, con carta colorata e fiocco, che dentro non ha nulla. Di cosa l’amore vero ci fa avere sete? Vincenzo Paglia risponde con queste parole che trovo straordinarie: “L’amore consiste dunque nell’avere sete degli altri e non soltanto di se stessi, nell’essere capaci di dissetare gli altri perché non abbiano più sete”.
Spesso utilizziamo tutto il tempo a colmare la “sete” di cose che riguardano esclusivamente il nostro benessere, i nostri equilibri, il nostro tornaconto. Non riusciamo a guardare aldilà del nostro naso e facciamo di tutto per portare soltanto acqua al nostro mulino. Amare significa “avere sete” degli altri, della loro gioia, di un cammino entusiasmante da fare insieme, di una meta verso cui guardare in comune da raggiungere ognuno con le proprie gambe ed il proprio passo. Questa è la “sete del servizio”, quel “fuoco interiore” che ti porta a farti piccolo con i piccoli, ultimo con gli ultimi, consapevole non soltanto di “fare un piacere” ad un altro, ma di soddisfare la tua sete di felicità, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Questo modo di pensare, ma soprattutto di “fare”, è contagioso: educa gli altri a non avere soltanto sete di se stessi, ma di mettersi in ascolto delle arsure degli altri. Gesù, assetato di averci accanto a sé, con Lui “cittadini” del cielo, ha chinato il capo sulla nostra sete e, dalla croce, ci ha donato l’acqua viva che, come aveva già detto alla Samaritana, zampilla per la vita eterna. Lui, che è la Sorgente, accetta di farsi “sete” per “dissetarci” del suo amore a invitarci, a nostra volta, a “dissetare” i nostri fratelli.
Immaginiamo che Gesù ci scriva una lettera, che potrebbe iniziare così: “Caro Tonino, ho sete di te, lasciati dissetare ...”
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MESE DI MAGGIO 2010 17a puntata
Venerdì 21 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Marco cap. 15 vv. 33-36
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Ecco, chiama Elia!". Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere".
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Secondo Matteo e Marco, Gesù sulla croce prega prendendo a prestito le parole del salmo 22. E’ una preghiera “forte”, nella quale l’orante confessa a Dio tutta la sua disperazione per le sofferenze che è costretto a subire, il male che altri, senza motivo, gli fanno. Non mancano espressioni molto dure, che, a prima vista, sembrano essere senza speranza: “Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente ... mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan, spalancano contro di me le loro fauci ... arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte ... hanno scavato le mie mani e i miei piedi ... si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte ...”. Sono il segno evidente che Gesù, salendo sulla croce, è sceso nel fondo più estremo delle nostre povertà, “ha toccato il fondo” della nostra sofferenza. Ha “capito” cosa vuol dire, almeno per un attimo, rimanere sospesi nel vuoto della propria solitudine, solo con una domanda: “perché?” e senza uno straccio di risposta. Si può dire che Egli ha PIENAMENTE assunto la nostra natura umana, non si è soltanto “vestito” di carne, ma ha portato su di sé tutta la debolezza della nostra carne, della nostra natura ferita dal male fatto e subito.
Ma il salmo 22 non è la preghiera di un uomo disperato completamente chiuso nelle sue sofferenze. E’ il gemito di un povero che, caduto in un pozzo profondo, ha la “fiducia” di guardare in alto, “provare a guardare” quel Dio che è talmente lontano che non si riesce a scorgere neppure come un puntino luminoso nella notte. Troviamo frasi di questo tipo: “Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto ... Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea ... si parlerà del Signore alla generazione che viene, annunceranno la sua giustizia, al popolo che nascerà diranno: Ecco l’opera del Signore ...”. Qual è l’opera del Signore in questo momento? Pur non sminuendo la nostra sofferenza, evitando di dirci “parole banali” che non ci consolano affatto, elevando anche Lui una domanda al cielo che non ottiene risposta, ci insegna, anche in questi frangenti, a non restare prigionieri di una arida solitudine. In questa quarta parola di Cristo, sono contenuti tre fondamentali appelli:
1) Alza gli occhi verso l’alto, non guardare solo il tuo orizzonte di difficoltà. Anche se non vedi nulla, c’è un Dio che ti ascolta, che forse non ti risponde, ma ti ascolta. Non lascia correre le tue forti domande. Con il tuo sguardo, comincia a preparare la tua risalita.
2) Apri le porte del cuore, permetti a tutto quello che hai dentro di uscire. Tenersi tutto dentro equivale a rimanere in balia di un mare in tempesta con una nave molto danneggiata, cioè con la prospettiva a breve termine di affondare. Fai uscire questo mare, fai defluire dal tuo animo queste correnti negative; potranno diventare la forza per uscire “a riveder le stelle”.
3) Dai voce a quello che hai dentro. Non ti preoccupare della forma. Se esce una protesta, una “ramanzina” rivolta a Dio, non preoccuparti. Lui si “renderà conto” della situazione, vedrà nelle tue parole un segno di fede, sentirà che stai cominciando a FIDARTI di Lui. E diventerà per te presenza forte, stabile come la roccia.
Completiamo, in qualche istante “rubato” al tran tran di questo giorno, la riflessione di ieri: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ... alzo gli occhi verso Te ... ti apro il cuore ... do voce a ciò che ho dentro ...”
Pubblicato da don Tonino alle 00:29 0 commenti
giovedì 20 maggio 2010
MESE DI MAGGIO 2010 4a-16a puntata
Giovedì 6 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 15 vv. 9-11
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Quando per noi è più semplice ascoltare, apprezzare e mettere in pratica i consigli di una persona? Cosa dobbiamo “vedere” nell’altro affinché scatti in noi il desiderio di fidarsi, di seguire le sue indicazioni? Perché a volte diventa “facile” (di solito è molto difficile!) ammettere i propri errori, dire ad un fratello “Ho sbagliato” e poi dopo “aiutami a recuperare”? Tutto sta nel modo in cui “percepiamo” il nostro interlocutore. Se pensiamo che intervenga nella nostra vita soltanto per offenderci o umiliarci, potrà dire anche cose sacrosante, aderenti alla verità della nostra vita: non lo ascolteremo, alzeremo contro di lui una potente barriera. Se invece ci rendiamo conto che vuole il nostro bene, che ci vuole bene veramente, allora accetteremo anche il rimprovero più duro, la correzione più “difficile” da “ingoiare”, perché si è certi che l’altro vuole il nostro bene. Questo vale senza ombra di dubbio per Gesù: si rivolge a noi, a volte duramente, affinché la sua gioia diventi la nostra in tutta la sua pienezza. La sua intenzione è chiara, il suo amore per noi concreto. Continuiamo il nostro cammino sapendo di ascoltare una Persona di cui potersi fidare totalmente, che ci dice ogni cosa solo per il nostro bene. Per questo, disponiamoci ad un ascolto “simpatico”, cioè aperto a tutte le sollecitazioni, anche le più urticanti.
Stiamo per partire. L’icona del nostro viaggio, il “Trionfo della croce”, ci aiuta ad avere qualche idea in più sulla meta – le sette parole di Cristo sulla croce - che poi, giorno dopo giorno, “toccheremo” con le nostre mani. Apriamo una piccola parentesi. Forse molti si stanno domandando: ma quali sono le sette parole di Cristo sulla croce? In realtà questa espressione – è divenuta famosa perché oggetto di riflessione di tanti grandi uomini spirituali e anche ispirazione per tanti musicisti, tra i più importanti Haydn – indica le “sette frasi” che, secondo i vangeli, Cristo ha pronunciato dopo essere stato crocifisso. Le ripetiamo, così, nella nostra meditazione quotidiana se abbiamo un po’ di tempo in più, possiamo ricercarle nella Sacra Scrittura:
1) “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34);
2) “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43);
3) “Ecco tuo figlio ... Ecco tua Madre” (Gv 19,27);
4) “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46);
5) “Ho sete!” (Gv 19,28);
6) “E’ compiuto” (Gv 19,30);
7) Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
Ieri siamo arrivati a questa prima importante conclusione: queste sette parole ci aiuteranno a vedere la croce non soltanto come “occasione di condivisione” da parte di Dio del nostro dolore, ma soprattutto come creazione, per tutta l’umanità, di un nuovo giorno, lo splendore, per tutti noi, di una nuova luce. Contempleremo la croce nel suo essere “albero fiorito” che Lui ha “piantato” nei nostri deserti. Fermiamoci ancora a riflettere sulla “croce fiorita”. Simbolicamente “pigiamo” questa immagine nei nostri tini interiori, in modo da poter avere nella cantina del cuore abbondante “mosto spirituale” che, fatto fermentare con la preghiera e la carità concreta, diventerà vino per il banchetto del Regno. La croce viene raffigurata come “prolungamento” di un cespo d’acanto. Nella simbologia medievale, questa pianta indica la verginità, per il fatto che cresce spontaneamente in terre non coltivate. Cristo è salito sulla croce con un cuore vergine, innocente. Non si è fatto “travolgere” dal male, lo ha subito senza perdere la sua interiore purezza. Le sue sette parole sulla croce sono, in fondo, un grande monito a mantenere un cuore puro anche quando il male ci tocca, ci ferisce, “vorrebbe buttarci” nel suo circolo vizioso. Non si può rispondere al male con il male. Il cuore di Cristo, anche sulla croce, ha continuato ad essere una cascata d’amore, un grido di pace, un invito ad “abbassare le armi” per rimettere al centro la necessità di un dialogo vero e sincero per risolvere qualsiasi problema. Come l’acanto cresce in terreni incolti, così Gesù crede che l’amore possa fiorire in qualsiasi cuore, anche il più lontano dal suo volto. Non dimentichiamo le grandiose parole di Isaia: “Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (1,18). Le sette parole sono la “prova concreta” che Dio crede nella conversione di chiunque.
Riflettiamo oggi con l’aiuto di questa provocazione:
Come rendere vergine il mio cuore? Metto a fuoco i miei “sentimenti negativi” ...
Venerdì 7 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 15 vv. 12-17
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Paolo, nell’epilogo della lettera ai Galati, dice chiaramente: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (6,14). Sono anche le parole dell’antifona d’ingresso della Messa “In cena Domini”, dove si fa memoria dell’istituzione dell’Eucarestia. Il mondo “è stato crocifisso”, cioè salvato, purificato, trasfigurato dalla croce di Cristo. L’universo, grazie alla sua resurrezione, è rinato in tutte le sue componenti, piante, animali ed esseri umani. Sempre Paolo ci ricorda che in Cristo, “mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi” (Ef 1,7-8). Il Padre ha voluto fortemente questo progetto d’amore per “ricondurre al Cristo, unico Capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra” (Ef 1,10). La forza rinnovatrice che sgorga dalla croce è veramente “popolare”, rivolta al “restauro” di ogni creatura. L’opera che ci sta guidando nella riflessione in queste prime mattine di questo maggio 2010, il “Trionfo della croce”, esprime con chiarezza l’universalità della croce di Cristo. Troviamo raffigurate piante (l’acanto), animali (le colombe sulla croce) e uomini (Gesù, Maria e Giovanni ai piedi della croce). Dopo aver messo sotto la nostra “lente spirituale” il regno vegetale (l’acanto), passiamo a quello animale e meditiamo sulle colombe, che troviamo su tutta la superficie della croce non occupata dal corpo di Cristo.
Contandole, ci accorgiamo che sono dodici, un numero non casuale nel “mondo” della Sacra Scrittura. Dodici sono le tribù d’Israele, ma soprattutto gli apostoli. La parola “apostolo” deriva da un termine greco che significa “inviato”. Gesù ha inviato i dodici in tutto il mondo, perché il suo messaggio, soprattutto la sua “presenza vivente”, potesse raggiungere ogni creatura. Ha fatto loro, prima di morire, una raccomandazione importante: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Questo è l’unico modo per vivere l’autentica bellezza della comunione e soprattutto il solo mezzo per infiammare i cuori degli altri della sua santa fiamma. Le sette parole di Gesù, che la prossima settimana gusteremo ad una ad una per sentirne tutto il loro fragrante sapore, sono in fondo sette lettere d’amore, sette messaggi che Cristo, ogni giorno, lascia nella nostra buca della posta. Non sono parole vuote o di circostanza. Vengono dalla cattedra della croce.
Anche noi possiamo essere apostoli, cioè “inviati”, suoi messaggeri. In che modo? Tenendo presente che, come le colombe del nostro caro mosaico, la croce deve essere il nostro nido, il punto di partenza di qualsiasi impegno, la motivazione di ogni sforzo. Ma anche la “pista” da cui decollare per andare dove c’è bisogno e portare l’annuncio della sua vittoria sulla morte. Penso alla colomba che, nel libro della Genesi, diventa il segno chiaro della fine del diluvio e dell’inizio di un nuovo tempo di pace tra Dio e l’uomo: infatti “Noè fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò da lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia d’ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. Aspetto altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui” (Gn 8, 10-12). Se impareremo a “decollare” dalla croce e tornare ad essa ogni giorno, come in un nido sicuro, riusciremo ad essere per tutti suoi messaggeri, “portaparola” del suo essere Novità, splendore ieri, oggi e sempre. Oggi, in un po’ di tempo da dedicare alla meditazione, scriviamo un messaggio ad una persona in particolare. Diventiamo concretamente “inviati” di Cristo, dalla croce di Cristo ...
“Ecco un messaggio per te ... dalla croce di Cristo ...”
Sabato 8 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 15 vv. 18-21
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: "Un servo non è più grande del suo padrone". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».
“Un servo non è più grande del suo padrone”. Questa parola – SERVIZIO – ci dice tanto, anzi tutto di questo nostro cammino di preghiera. Perché siamo qui? Perché facciamo il sacrificio di anticipare l’orario della sveglia? Perché, durante la giornata, cerchiamo di riservarci un po’ di tempo per la riflessione personale? Solamente per mostrare a Dio e alla Vergine Maria la nostra fedeltà? Per “ottenere” qualche “vantaggio spirituale” per noi o una persona cara? Siamo qui per riconoscere la voce del “padrone”, che è anche pastore, padre ed amico. Siamo qui per ascoltare questa voce e metterci al suo servizio. Siamo qui perché metterci al servizio del suo amore, per “lavorare” nella sua vigna ed essere i suoi messaggeri di pace. Il mondo, la grande famiglia dell’umanità, per poter crescere nella vera unione, ha bisogno di “operai” qualificati (anche se dell’ultima ora!) e appassionati. Non si possono sempre chiedere miracoli a Dio, come se tutto dipendesse da Lui. I veri miracoli sono quelli che, nel “silenzio” di una semplice quotidianità, si realizzano con un appassionato servizio. Dio, in queste mattine, vuole insegnarci ad essere “servi”, cioè “autori di miracoli” in questo mondo che possiamo trasformare con il nostro apporto. Mi viene in mente la frase di un film comico, ma adatta a queste riflessioni fatte: “Vuoi vedere un miracolo? Sii il tuo miracolo ...”.
Questa mattina concludiamo la contemplazione del nostro affresco-guida, il “Trionfo della croce”. Dopo piante (acanto) e animali (colombe), passiamo alle raffigurazioni di uomini. Vediamo, naturalmente, Gesù in croce e ai lati Maria (sinistro) e Giovanni (destro). Mettiamo in luce il “movimento d’amore”, il “torrente di grazia” che scorre tra le storie di questi tre importantissimi personaggi della storia della salvezza. Gesù, morendo sulla croce e donando lo Spirito (le colombe sulla croce possono essere anche simbolo dello Spirito Santo che, come dice Giovanni nel suo Vangelo, Gesù dona nello stesso atto del morire), diventa quel “fiume” che permette all’amore del Padre di “scorrere” sulla terra e di essere “acqua” a disposizione di tutti. Adesso ci chiediamo: siamo tutti capaci di attingere a quest’acqua? Siamo in grado di andare alle rive di questo fiume che è Cristo e di dissertarci della sua acqua viva? Riusciamo nello svolgersi delle nostre storie a trovare occasioni per fare questa esperienza di salvezza? A queste domande non si può rispondere con un “sì” convinto. Anzi, spesso il nostro problema più grande è quello di non riuscire a “vedere” Cristo, “passeggiare” sulla sua “riva”, attingere in Lui l’acqua che purifica e dà vita. Sentiamo il bisogno di essere educati ad incontrarlo. Questo è il compito che Gesù ha affidato alla Chiesa, rappresentata da Maria. S. Bernardo, vedendo in lei anche il suo essere immagine della Chiesa, dice che “è stata data al mondo affinché, per mezzo di lei coma da un canale arrivassero continuamente da Dio agli uomini i doni celesti”. La definisce ancora “un acquedotto sempre pieno, perché tutti ricevano dalla sua pienezza”. E chi rappresenta Giovanni, che troviamo sotto la croce di fronte a Maria? Ognuno di noi che, per ricevere l’amore del Padre donato da Cristo nello Spirito, non può che guardare a Maria, cioè alla Chiesa, cercando di diventarne parte attiva, con la preghiera e la carità concreta. In questo modo riusciremo a far diventare la nostra vita un’offerta gradita a Cristo, rispondendo al suo amore e contribuendo a “farlo circolare” per il bene di tutti. Dio vuole che il suo amore “circoli”, scorra perché possa bagnare le terre più aride. Noi siamo chiamati a non frenare questo scorrere, anzi a favorirlo, come dice una canzone di Ligabue che adesso ascoltiamo, “Metti in circolo il tuo amore” ...
Hai cercato di capire
e non hai capito ancora
se di capire di finisce mai.
Hai provato a far capire
con tutta la tua voce
anche solo un pezzo di quello che sei.
Con la rabbia ci si nasce
o ci si diventa
tu che sei un esperto non lo sai.
Perché quello che ti spacca
ti fa fuori dentro
forse parte proprio da chi sei.
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?"
Metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti "non lo so"
come quando dici "peché no?"
Quante vite non capisci
e quindi non sopporti
perché ti sembra non capiscan te.
Quanti generi di pesci
e di correnti forti
perché 'sto mare sia come vuoi te.
Metti in circolo il tuo amore
come fai con una novità
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici si vedrà
come fai con una novità
E ti sei opposto all'onda
ed è li che hai capito
che più ti opponi e più ti tira giù.
E ti senti ad una festa
per cui non hai l'invito
per cui gli inviti adesso falli tu.
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?"
Metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti "non lo so"
come quando dici perché no
Traccia per questa mattina:
Nella Chiesa mi sono abbeverato di Te, unica acqua viva ...
Lunedì 10 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Luca (23, 33-38)
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".
Dopo un’intensa settimana di preparazione, “utilizzata” per motivarci a questo viaggio nell’amore di Dio, le cui “onde” sono le sette parole di Cristo sulla croce, finalmente possiamo “levare le ancore”, “issare le vele”, puntare il timone al largo e dare inizio al nostro viaggio. Mi viene in mente, a questo proposito, il verso di una canzone: “Prima di partire per un lungo viaggio, devi portare con te la voglia di non tornare più, prima di non essere sincera, pensa che ti tradisci solo tu ...”. Noi stiamo lasciando la nostra condizione attuale – il nostro essere oggi – per conquistarne una migliore. Partiamo con la voglia di non disperdere i progressi che faremo, di non tornare sui vecchi passi. Prendiamo il largo mettendocela tutta per non cedere alle nostalgie, alle lusinghe della vita di prima. Arriveremo ad un altro porto, ad una condizione migliore di quella attuale. E’ da quel porto che dovremmo ripartire per gli ulteriori viaggi che il Signore ci chiederà, mai più da quello in cui siamo adesso. Su questo punto dobbiamo essere pienamente sinceri, altrimenti non facciamo altro che tradire noi stessi. Iniziamo a navigare con la evidente certezza interiore che in questo porto non dovremmo più entrare: altri lidi ci aspettano, altri “traguardi spirituali” attendono di essere conquistati.
La prima parola di Cristo sulla croce è questa: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Prima di ogni reazione, della divisione delle sue vesti da parte dei soldati, delle frasi ironiche a Lui rivolte dai capi, Gesù ha parole di perdono per tutti coloro che hanno decretato la sua ingiusta condanna. Questo dice già tanto del perdono, che deve venire prima di tutto, che dice tutto del vero amore, che tutto può trasformare perché “figlio primogenito” dell’amore senza confini.
Questa mattina vogliamo essere un po’ critici nei confronti di Gesù. Vogliamo fare l’avvocato del diavolo. Ma è proprio giusto perdonare tutti, sempre? E’ opportuno “passare sopra” ad un crimine del genere? Non si corre il rischio “di fare di tutta l’erba un fascio”? Non si rende invisibile la linea di demarcazione tra il bene e il male? Timothy Radcliffe, commentando questa prima parola di Gesù, segnala: “Tutto ciò sembra molto bello, ma non potrebbe essere anche un po’ condiscendente? Può sembrare che renda i nostri atti irrilevanti”. Gesù, sulla croce, non ha detto: “Non vi preoccupate, in fondo non avete fatto nulla!”. Ha chiesto il perdono per il male fatto, quindi è ben consapevole – lo sente nel suo corpo martoriato – del male che ha subito. Anche la Chiesa, che si fa “voce” e “presenza reale” di Gesù nella storia di ogni tempo, non ha cancellato il venerdì santo, non cessa di dire che Egli è stato ingiustamente condannato, che ha “portato su di sé” il peso dei nostri peccati. Però annuncia con gioia che c’è stata una resurrezione, la morte è stata sconfitta, le catene del male sono state distrutte. Gesù, offrendo la sua misericordia dal trono della croce, non ha “cancellato” il male subito, ma ha offerto a tutti una “via d’uscita”, ci ha fatto capire che, se siamo animati dall’impulso di un amore vero e disinteressato, il male non è per noi un gorgo profondo che ci inghiotte, ma una caverna buia dalla quale si può uscire e ritrovare la luce. Se oggi possiamo “reggere” il racconto della Passione di Cristo, è perché Egli ci ha perdonato, ha cioè disinnescato la sua forza distruttiva e ci ha offerto, in contraccambio, la forza costruttiva della sua misericordia. Il perdono non cancella il male, ma è l’unica strada per liberarsi dalla sua morsa e lasciarsi andare nel dolce abbraccio dell’amore di Dio.
Il male fatto e subito non va cancellato, ma AMMESSO per essere “superato” con il “valore aggiunto” del perdono. Facciamo un accurato esame di coscienza, cerchiamo di indicare senza censure tutto il male di cui siamo stati responsabili. Quello che scriveremo non sarà una prigione senza uscita, ma alla luce del perdono di Cristo, troveremo la via della conversione.
Martedì 11 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Luca (23, 33-38)
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".
Perdonare non equivale assolutamente a “passare sopra” al male fatto o subito. Non significa, come dice la famosa canzone napoletana, che
“Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto...
chi ha dato, ha dato, ha dato...
scurdámmoce 'o ppassato,
simmo 'e Napule paisá!...”
Gesù, perdonando dalla croce tutti coloro che a diverso modo hanno contribuito alla sua morte, non intende “condonare” il loro male, sminuirlo nella sua portata, ma “disinnescarlo”, impedirgli di dettare l’ultima parola alle nostre vite. Egli, se anche volesse, non potrebbe testimoniare: “In fondo, non è successo nulla! Non è avvenuto niente di particolarmente grave!” perché sulla sua pelle, nelle mani e nei piedi trapassati dai chiodi, ha sentito la forza del male, il suo “esserci” nella storia dell’umanità. Però, mosso dalla piena libertà che nasce dal vero amore, subito ha voluto offrirci un modo per non rimanere “risucchiati” dal male fatto, una via di conversione. Per questo, prima di tutto, ci ha donato dalla croce parole di perdono.
Come imparare a perdonare? Come, in questo aspetto così delicato, essere imitatori di Gesù? Domani cercheremo di evidenziare anche un percorso pratico di educazione al perdono. Oggi ci soffermiamo su quella che dovrebbe diventare la nostra idea di fondo, quel terreno ben arato dallo Spirito sul quale i semi del perdono possono attecchire, spuntare e fruttificare. Con decisione siamo chiamati a dire “No” ad un’idea di società dove gli uomini si possono suddividere il due categorie ben definite: i buoni da una parte e i malvagi dall’altra. E’ opportuno iniziare a rifiutare questa concezione della famiglia umana, nella quale se sono cattivo non potrò mai essere buono; quindi, se mi ritengo buono, devo evitare qualsiasi contatto con il cattivo. Dice Vincenzo Paglia: “Una società fatta così è rassegnata al male; diviene disumana e crudele. La cattiveria, ben radicata nel cuore di ciascun uomo, anche di quelli che si ritengono buoni, resta salda e continua indisturbata la sua triste opera di distruzione”.
Quale pensiero invece crea i presupposti per il germogliare del perdono? Nessun uomo è interamente buono o malvagio. Tutti noi sperimentiamo, nel nostro cuore, una compresenza di male e bene, una tensione alla bellezza ed un'altra alla bruttezza, una spinta al dono disinteressato e un'altra a “catturare” quante più cose o persone per i propri fini. Certo, in alcuni una delle due tendenze è più forte dell’altra - nei santi la tendenza al bene diventa così più forte di quella al male che gli effetti di quest’ultima diventano quasi del tutto irrilevanti -, ma in nessuno una delle due può annientarsi del tutto. Chi sbaglia non si può mai totalmente identificare con i propri errori. Come ci ricorda Giovanni XXIII, nella sua enciclica “Pacem in terris”, l’errante non si può ridurre agli errori fatti, è “di più”. Sempre Vincenzo Paglia, dice che in alcuni uomini l’amore è come una debole scintilla che si trova sotto la cenere. Se togliendo la cenere si fa arrivare un po’ d’aria, la scintilla si irrobustisce e, poco per volta, può diventare un fuoco ardente. Gesù, donandoci il perdono, si mette alla ricerca di quella scintilla d’amore che è sicuramente presente in ognuno di noi, le dà aria, la rende sempre più forte, la fa diventare il vero fuoco della nostra vita. E anche noi, perdonando i nostri fratelli, possiamo fare lo stesso.
Questa mattina, appena abbiamo un minuto libero, ci chiediamo: “Sotto la cenere che copre il cuore di un mio fratello, vedo una scintilla d’amore; è ...”
Mercoledì 12 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Luca (23, 33-38)
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: "Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto". Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Sopra di lui c'era anche una scritta: "Costui è il re dei Giudei".
“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Spero che queste parole stiano diventando per noi non la “frase famosa” di un eroe che si può soltanto ammirare, ma l’esperienza di un fratello che potrebbe diventare anche la nostra, la strada tracciata da un Amico che potrebbe essere calpestata anche dai nostri passi. Il perdono di Gesù ai suoi crocifissori non è come il lieto fine di una fiaba – una fiaba deve sempre terminare con un lieto fine, in un modo o in un altro il “cattivo” deve soccombere e il “buono” avere il giusto premio; questa idea di società dove si dividono le persone in buoni o cattivi l’abbiamo ieri nettamente rifiutata! -, ma il frutto maturo di un percorso finalizzato a non farsi inghiottire dalla logica del male per invece “consegnarsi” al “dolce abbraccio” dell’amore vero, che è riflesso dell’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito.
Il perdono è il frutto maturo di un cammino. Proviamo, questa mattina, a scoprire insieme alcune tappe molto concrete per EDUCARSI a perdonare e poter gustare un giorno i frutti maturi del suo rigoglioso albero. Vi propongo un percorso elaborato da mons. Giancarlo Maria Bregantini, attuale vescovo della diocesi di Campobasso-Boiano. Nasce dalla sua esperienza diretta di apostolato in “luoghi” profondamente “toccati”, potremmo dire “spaccati” dall’azione del male e quindi bisognosi, per poter rinascere, soltanto del perdono di Cristo. Pensiamo ad un carcere, dove non conta soltanto un giorno uscire dalle sbarre, ma anche dalla prigione del male fatto per entrare nella certezza di essere “riaccolti alla vita” da Dio e dai fratelli. O ad uno dei tanti paesi del nostro caro Sud-Italia, dove la presenza camorristica o mafiosa si fa più sentire.
Questo percorso è come una scala composta di cinque gradini**:
1) Per prima cosa, dopo un’offesa, usa la testa. Contestualizza il fatto, scarica la violenza, inizia a capire, opera una rilettura serena di quanto è accaduto. Non lasciarti trascinare dalla forza dei tuoi sentimenti. Fa come un bravo medico: tira fuori la spina che brucia e purifica la ferita dalle impurità [...]
2) Poi usa il cuore ed inizia a pregare. Cioè non fermarti alla faccia di chi ti ha offeso. [...] Guarda invece il volto di Cristo sulla croce [...]
3) Poi confessati; trova un prete bravo che ti capisca, ti comprenda, che faccia con te un percorso d’amore. Come ha fatto Gesù con il Padre. [...]
4) Non basterà però nemmeno il singolo prete. Ti auguro di trovare una buona comunità, un gruppo, un movimento che ti possa accompagnare. Con tenerezza, con misericordia infinita. Pronti a capirti, a scusarti, a restituirti dolcezze nel cuore e luce negli occhi [...].
5) Ed infine, percorsi questi quattro gradini del perdono, diverrai anche tu, con pace e gioia immensa, un ministro di consolazione
Non devo fare altro che cominciare ad applicare questo schema a qualche zona d’ombra della mia vita dove ho bisogno di perdonare o di essere perdonato ... o di entrambe le cose ...
** Estratto da: GIANCARLO MARIA BREGANTINI, Le 7 parole di Cristo sulla croce, Messaggero, Padova 2010, 23-24. E’ un piccolo libro che consiglio vivamente, per il tentativo di proporre il Vangelo come “lievito” per la vita di tutti i giorni.
Giovedì 13 maggio 2010
Dal Vangelo di Luca cap. 23 vv. 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
Immagina di essere a casa tua. Vai a controllare, come sei solito fare almeno una volta alla settimana, la cassetta della posta. In mezzo a bollette e proposte di acquisto dei più svariati generi, trovi una misteriosa busta. Non c’è il nome del mittente. La apri e all’interno trovi qualcosa di ancora più sorprendente. E’ un biglietto d’invito o meglio un “pass” per assistere, in piazza s. Pietro a Roma, ad una cerimonia di canonizzazione. All’interno della Messa, presieduta dal santo Padre, sarà elevato agli onori degli altari un nuovo santo, di cui non si conosce il nome ma la cui storia è veramente straordinaria. “Digerisci” la sorpresa iniziale, viene in te la tentazione di buttare tutto nella spazzatura. Poi ci ripensi, nasce in te un senso di curiosità che ti spinge ad accettare il bizzarro invito. Organizzi il viaggio e, nel giorno fissato, sei a Roma. Entri in piazza s. Pietro e, insieme a migliaia di persone, ti lasci abbracciare dal colonnato del Bernini. Arriva il papa, saluta la folla dalla sua papamobile. Comincia l’Eucarestia. Dopo il Vangelo, l’omelia. Si racconta un po’ la vita di questo “anonimo” e “nuovo” santo della Chiesa. Ti aspetti il racconto di una vita spesa nel bene, al servizio dei fratelli, sopportando con pazienza tutte le difficoltà e trovando in esse la strada per ringraziare sempre Dio. Ed invece il papa racconta che quest’uomo ha rubato a tanta povera gente, ha commesso omicidi, ha istigato e partecipato a rivolte in cui c’è stato tanto spargimento di sangue, ha “calpestato” la dignità di tante persone in nome dei suoi illeciti guadagni. “Come è possibile” pensi nel cuore “che un uomo così possa diventare santo? Mi sembra che il papa abbia preso un granchio! Come onorare un uomo così? Se questo è santo, io cosa sono? Su quale altare dovrebbero sistemarmi? E’ proprio assurdo ...”. L’elenco del male fatto da questo delinquente che si vuole spacciare per santo e il tuo sbigottimento crescono sempre di più. Poi il papa, dopo una breve pausa – si ferma per prendere fiato come dopo una corsa “a tutta birra” – dice con voce chiara: “Quest’uomo è santo perché glielo ha assicurato lo stesso Gesù. A lui, solo a lui nel Vangelo, ha rivolto queste parole: “Oggi sarai con me nel paradiso”. E’ santo perché, negli ultimi istanti della sua vita, ha riconosciuto la vicinanza di Cristo e ha creduto nella possibilità di salvarsi, perché questo dono, più che una conquista, è un dono da accettare. E si può accettarlo quando si riconosce la propria fragilità, i propri peccati. Quest’uomo, che per tutta la vita ha fatto “cose grandi” nel male, alla fine ha scoperto la cosa più importante, il passaporto per il cielo: che Gesù gli era accanto, aveva parole per Lui, era Forza per rialzarlo dalla sua debolezza”. Il tuo senso di sorpresa arriva alle stelle. Però senti anche una fitta al cuore, perché stai riflettendo su qualcosa che comincia ad apparirti in tutta la sua verità. Forse ti rendi conto che stai perdendo tempo in tante cose, hai la sensazione di camminare verso la salvezza, di aver già guadagnato il Paradiso, mentre invece sei ancora lontano, stai perdendo di vista l’essenziale, accogliere Cristo che ti è accanto per quello che sei, sempre pronto a rialzarti. E’ tempo di darsi una mossa, per entrare al più presto in quell’OGGI di Cristo, che è amicizia infinita con Lui, compagnia indissolubile.
Tornato a casa, prendi carta e penna e cominci a scrivere una preghiera: “Signore, tu mi sei accanto quando sono fragile ...”
Venerdì 14 maggio 2010
Dal Vangelo di Luca cap. 23 vv. 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
“Oggi sarai con me nel Paradiso”. Con queste parole Gesù ha inaugurato il “catalogo” dei santi della Chiesa, “ha firmato” la prima dichiarazione di canonizzazione della storia della salvezza. Motivo? Il “buon ladrone”, nonostante la sua vita costellata di delitti di vario genere, ha riconosciuto, negli ultimi istanti della sua vita, la vicinanza di Gesù e ha creduto in questa “prossimità” – pensiamo alla parabola del buon samaritano, che nasce da una domanda fatta a Gesù: “Chi è il mio prossimo?” – come fonte della sua personale salvezza. E’ l’unico, nel vangelo di Luca, che chiama Gesù per nome, che ha l’ardire di chiamarlo “Gesù”. Questa sua capacità di osare si fonda totalmente sulla sua grande fiducia nella misericordia di Dio. I santi sanno osare, pur coscienti della loro debolezza, sanno chiedere e ottenere cose grandi. Come madre Teresa, che ha saputo “osare” pur di realizzare il progetto d’amore che Dio le chiedeva di realizzare. Così scrive in una lettera al suo vescovo, una delle tante per chiedergli di autorizzarla a iniziare il cammino delle missionarie della carità: “La mia debolezza, il mio peccato, la mia incapacità, la mia inadeguatezza in molte cose devono intimorirla, lei come me. Ma sono talmente sicura di Dio. Confido nel suo amore. Spero tante cose, o, meglio, tutto da Lui: è questo che mi ha fatto osare fino a questo punto. In Lui e con Lui posso fare tutto ciò che Lui vuole io faccia”.
Ma c’è un’altra grande verità da mettere in luce questa mattina: se io credo in queste parole, se “accetto l’offerta” in esse contenuta, allora divento santo anch’io, o meglio, sperimento la santità di Dio che rende santo anche me. Il Padre mi offre ogni giorno – oggi -, in ogni momento, attraverso lo Spirito Santo che riattualizza per me l’esperienza di salvezza di Gesù, la possibilità di “stare” con Lui, di vivere in sua stretta compagnia. La parola “Paradiso” ci fa immaginare un giardino rigoglioso, pieno di piante e fiore, dove è piacevole trascorrere qualche ora di relax. E’ quel giardino di cui ci parla la Genesi, dove all’inizio dei tempi, prima del peccato, l’uomo viveva una serena e stabile relazione con Dio: “Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato [...] Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse “ (Gn 2,8.13). E’ il simbolo di quella condizione di gioia che ogni giorno, anche in questo preciso istante, Gesù continua ad offrire ad ognuno di noi. Se un amico mi dice sinceramente: “La porta di casa mia è sempre aperta! Vieni quando vuoi, anche senza avvisare! Anche per mangiare, tanto un posto si può aggiungere sempre!” ed io non ci vado mai, non accolgo questo caloroso invito, chi si trova in difetto? Di chi è la colpa se l’incontro non avviene? Ovviamente mia, perché non ho voluto rispondere alla costante disponibilità dell’amico. Lo stesso ragionamento si può applicare al rapporto tra noi e Dio. Egli mi dice: “Oggi sarai con me in paradiso”, cioè: “Sono sempre disponibile a stare in comunione con te, ad averti alla mia mensa, ad accoglierti nel giardino rigoglioso del mio amore”. Se non vado, se non varco la porta del suo Paradiso, è mia la responsabilità di questo rifiuto, di una scelta importante per il mio futuro che non ho voluto fare. E’ importante riconoscere che nella mia vita, negli istanti che adesso sto trascorrendo, ci sono tante porte per entrare nel Paradiso, che aspettano solo di essere attraversate ...
Questa mattina rifletto e prego così: “Il mio Paradiso, oggi ...”
Sabato 15 maggio 2010
Dal Vangelo di Luca cap. 23 vv. 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!". L'altro invece lo rimproverava dicendo: "Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male". E disse: "Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso".
Concludiamo questo nostro brevissimo ma intenso percorso sulla seconda parola di Cristo sulla croce con una piccola riflessione ma soprattutto con un gesto. Ci siamo resi conto che Dio ci tiene davvero alla nostra salvezza. La sua è un’offerta sempre valida, che non muta in relazione alla nostra condotta morale. E’ una porta a cui si può sempre bussare ed entrare, anche nell’ultimo istante della nostra vita. Siamo alla vigilia dell’Ascensione, festa importante del tempo di Pasqua. Cristo, dopo essersi incarnato sulla terra, si “incarna” in cielo, porta nella luce del Padre anche il nostro corpo. Mette sotto la nostra lente d’osservazione il “destino” a cui siamo chiamati, la salvezza che raggiungeremo se avremo il coraggio e la fede per accogliere la sua offerta sempre disponibile. Il suo desiderio è quello di averci tutti con lui, di essere una cosa sola: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
Per imprimere nel nostro cuore il desiderio di Cristo e ad esso rispondere con il nostro, ci facciamo aiutare da un gesto. Seguendo un’antica tradizione presente nelle nostre famiglie collegata proprio all’Ascensione, laveremo il nostro viso nell’acqua profumata da petali di rose. Per ricordare che il nostro corpo è caro agli occhi di Dio, che ci chiama alla salvezza in corpo e anima, che rispondendo alla sua offerta rendiamo tutta la nostra vita profumata, che il nostro volto è il primo “specchio” della sua luce ed il primo “fiore” che può espandere il suo profumo ...
Lunedì 17 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 19 vv. 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé.
Riprendiamo il nostro cammino, sapendo di aver percorso già una metà del nostro viaggio. Se fino a questo momento abbiamo esplorato le meraviglie dell’amore, che Cristo con le sue due prime parole sulla croce ci ha aiutato a risentire nel profondo, con poca convinzione o scarso entusiasmo; se il nostro cuore è rimasto freddo o si è perso spesso nella distrazione, allora è veramente urgente attuare un’inversione di tendenza, perché, a conti fatti, non manca molto alla conclusione. Se invece nella nostra memoria sono già stati “immagazzinati” tanti “attimi propizi” nei quali abbiamo guardato negli occhi, ascoltato, “lottato” con il nostro Signore Gesù ricavandone un grande arricchimento del cuore, allora è il caso sicuramente di perseverare, ma soprattutto di “aumentare” ancora il “livello” della nostra disponibilità, perché Egli ha da suggerirci ancora tante cose importanti.
Terza parola di Cristo sulla croce. Terza “occasione” che Cristo ci dona per considerare la scelta di seguire Gesù prendendo sulle nostre spalle la sua croce non come una follia senza senso, ma come una folle scelta d’amore, che ci fa diventare sorgente di acqua viva per i terreni arsi delle nostre storie. Terzo “gradino” di una scala che, se pur faticosa da percorrere, ci permette di allargare l’orizzonte del nostro sguardo, trascurare ciò che alla lunga è insignificante e scegliere invece, come Maria, la “parte migliore” che resterà per sempre in nostro possesso.
Oggi, come sempre, guardiamo il crocifisso. Allarghiamo lo sguardo: chi c’è sotto la croce? Maria, la Madre di Gesù e Giovanni, il “discepolo che Egli amava”. Vincendo un quasi naturale “maschilismo” della Chiesa, oggi non posso non fare un elogio delle donne. Tutti gli uomini, apostoli e discepoli, nel tempo della Passione sono scappati, hanno lasciato Cristo al suo destino. Le donne, invece, sono rimaste accanto a Lui sempre, lungo la via dolorosa, sotto la croce. Giovanni è arrivato solo in un secondo momento, come spinto dal rimorso, per aver lasciato solo il Maestro che tanto lo amava. La primissima Chiesa, radunata sotto la croce del suo Dio crocifisso, era composta quasi esclusivamente da donne. Tra queste, spicca Maria, sua Madre. Cercheremo di meditare questo momento “cruciale” della vita di Cristo da una prospettiva “femminile”. Una preghiera di benedizione nuziale, tratta dal nuovo rito del matrimonio, così recita: “Dona a questa sposa benedizione su benedizione: perché, come moglie e madre, diffonda la gioia nella casa e la illumini con generosità e dolcezza”. La luminosità di una donna sta, in particolare (ma non solo!) nell’essere madre.
Un teologo, K. Rahner, per mettere in evidenza che la nostra fede non è soltanto un sistema di idee, ma l’assenso della nostra libera volontà a Dio, che in Gesù si è fatto uomo, dice: “Le idee non hanno una madre”. Cristo ha una madre, Dio ha voluto nascere da una donna, poter chiamare una donna con il dolcissimo appellativo di “mamma”. Questo ci aiuta a mettere a fuoco due cose importanti: 1) Dio ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, il nostro percorso di vita. Ha sperimentato l’esigenza di avere una madre, una persona che custodisce la tua crescita e che resta un punto di riferimento per tutta la tua vita, che ti trovi accanto nei momenti bui, pronta a farti forza con la sua dolcezza. Gesù, morente in croce, sa di poter contare su Maria, sua Madre, che, anche nel tempo dell’abbandono, resta (“Stabat” come dice la famosa lauda) una presenza su cui poter contare. 2) Dio vuole accoglierci e proteggerci come una madre premurosa. Come dicevano anche i profeti, e Giovanni Paolo I ha ribadito, Egli è Padre e Madre. In Cristo, questa sua premura materna, si esprime al massimo. Per questo ha detto: “Perdona loro perché non sanno quello che sanno”, scusando i suoi crocifissori. E sempre per questo ha detto al buon ladrone: “Oggi sarai in Paradiso con me”, mostrando come l’onda del suo amore può raggiungere qualsiasi cuore, anche nell’ultimo istante della vita.
Oggi semplicemente scriviamo una lettera alla nostra mamma, anche se vive nella gloria di Dio: “Cara mamma ...”
Martedì 18 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 19 vv. 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé.
I vangeli non ci raccontano tutto quello che Gesù ha detto e fatto. Sarebbe stato impossibile comprimere in un libro tanti anni di intenso servizio a favore di tutti noi, mostrando concretamente la vicinanza del Padre e la “costante compagnia” dello Spirito. Giovanni così conclude il suo Vangelo: “Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Per questo, dovendo fare una cernita, gli evangelisti ci hanno lasciato “per iscritto” i fatti e le parole di Gesù che ritenevano più importanti, sintesi di tutto il resto. Le sette parole di Cristo sulla croce sono la sintesi di come “ha vissuto” la sua morte, di ciò che con essa ha voluto trasmetterci. Tra le sette parole più importanti – è possibile che Cristo abbia detto anche altre cose sulla croce – non poteva mancare il dialogo “a tre” tra Gesù, sua madre e Giovanni, il discepolo amato. Non poteva mancare questo delicato “quadretto familiare”, che oltre a dire la semplicità e la bellezza di un sentimento – l’amore di una madre per un figlio e viceversa, il legame tra un maestro e il suo fedele discepolo – si apre a “nuovi scenari” che coinvolgono una famiglia molto più grande, quella che raduna tutti i popoli della terra.
Continuiamo, come ieri, a penetrare in questo grandioso affresco d’amore puro, attraverso un’angolatura tipicamente femminile. La bellezza dell’essere donna, ricordavamo, si esprime particolarmente nel suo essere madre. Per mettere al mondo una nuova vita e gustare la gioia della maternità, è necessario passare attraverso lo snodo doloroso del parto. Sempre Giovanni dice: “La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (16,21). Sul Calvario la morte di Cristo è stato un dolorosissimo parto, ma che ha avuto come frutto una grande gioia. Chi, che cosa Gesù ha fatto nascere? La sua famiglia sulla terra, tutti noi che, “sedimentati” dal suo amore sgorgato dalla croce, diventiamo il suo Volto, il suo essere luce che le tenebre non possono vincere, il suo essere resurrezione che mette in scacco perfino la morte.
Gesù dice a Maria: “Donna, ecco tuo figlio”. Maria, in questo frangente, è di più della sua semplice persona: è la Chiesa, la nuova famiglia partorita da Gesù. Maria ha partorito Gesù a Betlemme, adesso Gesù “partorisce” Maria, figura della nuova comunità dei credenti. Comprendiamo allora la grandezza dei versi di Dante, che nel Paradiso (XXXIII canto, v. 1), fa iniziare così a s. Bernardo la sua preghiera alla Vergine Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio ...”. La Chiesa, madre universale, è chiamata ad aiutare tutti (Giovanni rappresenta tutta l’umanità) a riconoscersi come suoi figli e perciò come figli di Dio. E tutti noi, se “favoriamo” questo riconoscimento, se ci sentiamo attivamente e non soltanto formalmente parte di questa famiglia, se ci sentiamo “partoriti” ogni giorno dalla Chiesa che è madre, riusciremo a “partorire” Gesù in tanti cuori stanchi, in tante storie “scheggiate” dalla violenza del peccato, in tante anime risucchiate nel gorgo dell’indifferenza... ad aiutare tanti altri a riconoscersi come figli ...
Nel tempo dedicato alla riflessione in questo giorno, scrivo una lettera alla mia madre Chiesa: “Cara Chiesa ...”
Mercoledì 19 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 19 vv. 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé.
Questa mattina ci ha fatto visita il nostro vescovo Felice. Ha “imbandito” per noi la “tavola” di Gesù, sulla quale è sempre presente il “pane” della sua Parola e della sua “Presenza reale”. Ha voluto condividere con noi l’alba di questo giorno, essere presente alla nostra semplice Eucarestia mattutina, vissuta sulla scia del cammino di Maria. In realtà, il nostro vescovo è sempre presente, lo “rendiamo presente” durante la preghiera eucaristica: “Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro papa Benedetto, il nostro vescovo Felice e tutto l’ordine sacerdotale ...”. Ma questa mattina, vedendo il suo volto e ascoltando la sua voce, abbiamo compreso ancora di più il mistero di quel dialogo sotto la croce tra Gesù, Maria e Giovanni ...
Chi è il vescovo? Chi rappresenta? La Chiesa-sposa del suo Signore, Cristo-sposo. Il vescovo è colui che, sotto la croce di Cristo in ogni istante, “nei panni” di Maria, ascolta le parole del figlio-padre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Cosa fa il nostro vescovo? Mette tutta la sua volontà a disposizione di Gesù per aiutare la “porzione” di popolo che gli è stata affidata a riconoscersi figlo della Chiesa e quindi figlo di Dio. Cerca di avvicinarsi ad ognuno per trasmettergli l’amore della Madre-Chiesa, che si propone come riflesso di Gesù, “luce delle genti”. Va in cerca delle tante “pecorelle smarrite” per riportarle alla Chiesa-ovile, in quella comunità d’amore che deve mostrare a tutti con quanta passione Dio vuole la salvezza di ogni uomo. Vedere il vescovo, averlo in mezzo a noi, equivale a “vedere” concretamente la nostra Chiesa, “donna di Cristo”, che attaccata a Lui può conservare sempre la sua fecondità, che da Lui viene invitata a radunare i figli, a chiamare tutti per il grande banchetto delle nozze eterne.
E noi chi siamo? Cosa possiamo fare? Sulla croce Gesù ci ha detto che siamo figli. Sempre, aldilà dei nostri peccati. E’ importante riconoscere questo nostro “essere” lasciandoci radunare nella Chiesa-Madre, dando il nostro contributo per il consolidamento della Chiesa-famiglia di Dio sulla terra, vivendo pienamente il nostro essere, come corpo di cui il nostro vescovo Felice è il capo, Chiesa-sposa di Cristo. Si tratta di non tirarsi fuori da questo triangolo d’amore che sulla croce si è formato, di farsi trascinare dalla corrente di grazia che sul Golgota è sgorgata per inondare la storia. Cogliamo la presenza amorevole del nostro vescovo, questa mattina, come un pressante invito a restare nel raggio d’azione di queste parole: “Donna, ecco tuo figlio ... ecco tua Madre ...” ...
Giovedì 20 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Marco cap. 15 vv. 33-36
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Ecco, chiama Elia!". Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere".
Padre nostro (O.R.O.)
Quando sei venuto giù questo mondo non capì
ti coprirono di spine in un lontano venerdì
molti risero di te e di chi ti accompagnò
ma il potere di ogni re la tua parola cancellò
tra l'amore e la pietà questa certa verità
è rimasta dentro l'anima con noi
ora guardaci se puoi e ricordati di noi
dove sei stanotte tu se la gente adesso va
in un mare non più blu per elemosine in città
dove sei adesso tu se nel buio di una via
c'è chi vende e c'è chi compra il niente che ti porta via
devi dirci dove sei perché vivere vorrei
quanto male si è fermato adesso qui
dove sei finito?
mentre qui combattono mentre tutti scappano
mentre qui calpestano la dignità degli uomini
tu dicci come vivere
dove sei stanotte che queste lunghe malattie
han lasciato cicatrici grandi come quelle tue
dove sei ritorna qui perché il debole non sia
una vittima lasciata sola al freddo per la via
devi dirci dove sei perché dirtelo vorrei
che la vita non è facile per noi
come siamo soli
Mentre qui combattono Mentre tutti scappano
Mentre qui calpestano La dignità degli uomini
Tu dicci cosa scegliere
Dove sei stanotte io ti cercherò
dove sei se non ci sei io non ci sto
dove sei adesso tu dove sei stanotte tu
dove sei che questa luce adesso
non ritorna più
devi dirci dove sei perché vivere vorrei
e la vita non è facile per noi siamo tutti soli
mentre qui combattono mentre tutti scappano
mentre qui calpestano la dignità degli uomini
dove sei adesso tu dove sei stanotte tu
dove sei che questa luce deve accendere
e non spegnere mai più
dove sei adesso tu.
Ieri sera, tornando in motorino da Castellammare, mentre il vento mi accarezzava il viso e la sera mi donava la sua sempre affascinante tranquillità, pensavo al cammino che stiamo facendo insieme. Cercavo un “titolo” da dare a questo mese, una frase in cui riassumere tutto, poche battute nelle quali “condensare” tutta la tensione positiva che stiamo mettendo in campo per rendere migliori le nostre vite. Hanno fatto capolino alla finestra del cuore diverse idee, ma alla fine una mi ha convinto. Questo maggio 2010 si intitolerà così: “Carezze di luce nel buio della notte”. E come sottotitolo: “Le sette parole di Cristo sulla croce”. Riflettendo poi sulla parola da commentare oggi, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, mi è venuta in mente questa canzone degli O.R.O., a me particolarmente cara. E poi una importante considerazione. Fino a questo momento Cristo, dall’alto della croce, ha perdonato i suoi uccisori e ci ha chiesto di fare altrettanto. Ha donato all’ultimo momento il Paradiso ad un delinquente, facendoci comprendere che la salvezza è sempre disponibile – la forza sta tutta in quell’OGGI – e tutti noi possiamo “conquistarla” anche “nei minuti di recupero”, se il nostro desiderio è sincero. Ha aperto i nostri occhi sulla vera realtà della Chiesa, che nasce sul Calvario come Madre invitata dal suo figlio-padre Gesù a radunare tutti noi, figli-fratelli, in una sola famiglia.
Possiamo veramente mettere in pratica tutto questo? Gesù è anche Dio, noi siamo soltanto uomini! Lui conosce la verità, noi cerchiamo di farla nostra poco a poco, passo dopo passo, lungo l’arco di tempo della nostra intera esistenza. Lui è certo dell’amore del Padre, della vicinanza dello Spirito, noi, spesso, non ci accorgiamo della sua presenza, ci sentiamo abbandonati anche da lui. Non è così! Anche Gesù, uomo come noi fino in fondo, fin nei “fondi” nei quali noi uomini precipitiamo, ha sperimentato cosa vuol dire sentirsi – sulla pelle, nelle fibre più interne del cuore, nel rimuginare dei pensieri che ti abbatte – abbandonato. Ha vissuto il tempo del dubbio, dove si chiede e non si ottengono risposte, dove urli al cielo e dall’altra parte Dio sembra non esserci o non sentire. Mi affiorano alla mente le parole di un racconto di Paolo Di Stefano, intitolato: “La catastròfa”: “Anche se ti metti a pregare e pregare come facevano per tanti giorni le donne sedute davanti alla mina, i miracoli non vengono se non devono venire, e bon. Perché in certi momenti delicati, quando vede che le cose si mettono troppo male, Gesù Cristo si ritira e non vuole saperne di niente e di nessuno. Così si passano le cose più orribili della storia umana e Dio fa orecchie da mercante, siccome si ritira per i fatti suoi, e bon. Questa è la mia modesta morale che ho appreso dopo del desastro al Cazier. Voilà”. Quando viviamo tempi difficili, quando il male sembra averci circondato e non c’è via d’uscita, non ci resta che gridare al cielo, chiedere a Dio aiuto. Spesso non risponde, o almeno noi non riusciamo a comprendere la sua risposta. In questi momenti è importante ricordare, per sentirlo veramente fratello come Dio-uomo, che anche Gesù ha gridato al Padre e non ha avuto risposta.
Questa mattina proviamo a “ridire” il grido di Gesù a parole nostre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ...”
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martedì 4 maggio 2010
MESE DI MAGGIO 2010 3a puntata
Mercoledì 5 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 15 vv. 1-8
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Ieri ci siamo soffermati un po’ sul significato di questo nostro viaggio, che è il mese di maggio 2010. La Parola di Gesù, appena proclamata, ci permette di approfondire ancora le motivazioni del nostro itinerario mariano. Paradossalmente, ci mettiamo in viaggio per imparare a “star fermi”, “fissare” la nostra volontà in quella di Dio. Affinché la nostra vita sia fruttuosa, prima di FARE tante cose, è necessario confidare in Lui; dopo AVER FATTO tante cose, è opportuno ricordare che Lui è stato la nostra forza. Un verso del Deuteronomio ammonisce: “Guardati dunque dal dire nel tuo cuore: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore, tuo Dio, perché Egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurato ai tuoi padri” (8,17-18). Archimede, facendo riferimento al meccanismo della leva, disse: “Datemi un punto di appoggio e vi solleverò in mondo”. Parlando della vita spirituale, Gesù dice la stessa cosa con queste parole: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”.
Chiarito ancora di più il traguardo di questa nostra “carovana” mattutina, cerchiamo di comprendere cosa aspettarsi da questa esperienza. Se andiamo in un agenzia di viaggi e manifestiamo il desiderio di voler visitare un determinato posto, l’addetto sicuramente, oltre a darci qualche spiegazione a voce, ci farà consultare qualche volume o qualche depliant, dove ci sono foto del posto che abbiamo intenzione di visitare, qualche riga di commento, i prezzi di alberghi ed escursioni e tanto altro ancora. E’ un modo per farsi una prima idea e decidere meglio modi e tempi della vacanza. Per avere una sorta di anteprima del nostro viaggio, facciamo riferimento all’immagine che, in formato grande vedete al posto del quadro di s. Agnello e in formato ridotto avete tra le vostre mani. E’ la riproduzione di un mosaico che si trova nell’abside della chiesa di san Clemente a Roma. E’ un’opera del XII secolo e si intitola “Trionfo della croce”. Cos’ha di diverso dai tradizionali crocifissi che possiamo ammirare nelle nostre chiese? Già il titolo dell’opera ci mette sulla buona strada. Non ci “racconta” soltanto la sofferenza di Gesù in croce, con ai lati Maria e l’apostolo Giovanni, ma anche la forza redentrice del suo sacrificio. Egli ha condiviso la nostra sofferenza, come ci ricorda Isaia ha portato su di sé i nostri peccati, ma ha dato inizio alla nuova creazione, ha rinnovato il nostro modo di “sentire” e pensare, ha fatto rifiorire le nostre vite. La croce, come si può osservare, poggia su un cespo d’acanto le cui volute occupano l’intero spazio della raffigurazione. E’ una “croce fiorita”. Del resto è lo stesso Giovanni che, nel suo vangelo, ci racconta che “nel luogo dove [Gesù] era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo nel quale nessuno era stato ancora posto” (19,41). Gesù viene crocifisso e sepolto in un giardino, perché la sua passione ha “trasformato” la nostra terra da deserto in giardino rigoglioso. Le sette parole di Cristo sulla croce, che diventeranno il nostro “pane spirituale” nei prossimi giorni, non sono soltanto le parole di un uomo che soffre, ma i “raggi di sole” di una nuova aurora donata dal Padre all’umanità. In questo viaggio ci sentiremo capiti nelle nostre debolezze e sofferenze, ma soprattutto incoraggiati ad un continuo e fruttuoso rinnovamento. Ci soffermeremo ancora domani sulla bellezza di questa immagine, icona del nostro cammino. Questa mattina, appena abbiamo un minuto libero, proviamo a riflettere stimolati da queste parole:
Quali sono i frutti della mia vita? (Non è possibile che la mia esistenza sia soltanto un deserto!)
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MESE DI MAGGIO 2a puntata
Martedì 4 maggio 2010
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 14 vv. 27-31
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».
Stiamo per iniziare un viaggio. Prima di puntare con decisione alla nostra meta – la “contemplazione” delle sette parole di Cristo sulla croce -, è bene fermarsi ancora un po’ a riflettere sul senso di questo viaggio. Perché mettersi in cammino? Ci possono essere tanti motivi che spingono un uomo a mettersi in viaggio. Uno di questi è il desiderio di visitare posti nuovi, incontrare persone con usi e costumi diversi dai propri, emozionarsi di fronte a capolavori della natura o dell’arte, soddisfare il proprio desiderio di allargare continuamente il proprio orizzonte di conoscenza e mentalità. Noi ci mettiamo in viaggio per incontrare Colui che è la Novità in persona, che può rendere la nostra vita come un giardino sempre fiorito. Vogliamo “migliorare” la conoscenza di Colui che, come ci ricorda l’Apocalisse, fa nuove tutte le cose (cfr. 21,5). Non una conoscenza “dottrinale” ma concreta, alimentata da un incontro vivo, vissuto “faccia a faccia”: infatti mentre Lui ci conosce profondamente – ci ricorda il salmo 139: “Signore, tu mi scruti e mi conosci,/ tu conosci quando mi seggo e quando mi alzo, / intendi da lontano i miei pensieri, / osservi il mio cammino e il mio riposo, / ti sono note tutte le mie vie. / La mia parola non è ancora sulla lingua / ed ecco, Signore, già la conosci tutta. / Alle spalle e di fronte mi circondi / e poni su di me la tua mano” (vv. 1-5) – mentre noi lo conosciamo poco, spesso non c’è con Lui un rapporto veramente intimo. E’ questa scarsa conoscenza la radice di tanti nostri peccati, insicurezze, incapacità di perdonare, guardare avanti, credere sempre nella vittoria dell’amore. Invece un rapporto profondo con Lui, costruito con il “faccia a faccia” della preghiera, ci permette di sperimentare che, come ci ricorda il Vangelo oggi, soltanto Lui è la fonte della vera pace e ci stimola a non accontentarci della pace falsa del mondo, che può offrirci tranquillità ma non pienezza di gioia. Ci mettiamo in viaggio perché non ci accontentiamo della gioia che attualmente fa vibrare il nostro animo, vogliamo esultare di più, cantare con tutta la voce del cuore, sprizzare fuori tutta la letizia che ancora in noi è rimasta prigioniera.
Questa mattina vivremo un piccolo segno alla fine della Messa. Ognuno di voi si avvicinerà all’altare e prenderà un quaderno: sarà il suo “diario di bordo” per questo mese. E’ dietro l’angolo il rischio di dimenticare presto le meraviglie dell’amore di Dio che “toccheremo”. Certi momenti di grazia vanno fissati, perché possano continuare ad essere “fertilizzante” del terreno del cuore. La nostra memoria, spesso, non riesce a custodire tutte le ricchezze che Dio mette nelle nostre mani. Allora è importante scrivere, lasciare un segno, fare in modo che i passi del cammino possano essere riscoperti e messi a disposizione del cammino futuro. In questo “diario di bordo” potrete scrivere qualsiasi cosa: preghiere, riflessioni, sfoghi ... l’importante è che siano parole che vengano dal cuore, dal desiderio di incontrarsi/scontrarsi con la Parola che mediteremo ogni giorno. Potrete portarlo ogni mattina per prendere appunti oppure utilizzarlo soltanto a casa. In ogni modo, fatelo diventare uno strumento prezioso di “registrazione” in modo che nulla vada perduto. Questa mattina, come faremo nelle prossime, vi lascio una traccia di riflessione, da “utilizzare” in un momento libero della giornata, anche cinque minuti. La trovate già scritta nei vostri diari. Ci serve per fare il punto sulla nostra situazione attuale.
In viaggio con te ... dove mi stai portando, Signore?
Pubblicato da don Tonino alle 01:05 0 commenti
domenica 2 maggio 2010
MESE DI MAGGIO 2010 1a puntata
S. Agnello, 3 maggio 2010
Cara Maria,
prima di iniziare questo viaggio insieme a questi cari amici della comunità di s. Agnello, sento dentro di me l’esigenza, forte come le onde di un mare in tempesta, chiara come la luce della luna piena a mezzanotte,di rivolgermi a te, per chiedere coraggio, indicazioni di percorso, “parole buone” per affrontare i momenti difficili e saper gustare quelli di “pura grazia”. Busso al tuo cuore, perché so che sei una donna “esperta nel viaggiare”. Dopo aver detto il tuo “Sì” all’angelo che, a nome di Dio, ti chiedeva di diventare la madre del Salvatore, ti sei messa in viaggio per donare ad Elisabetta il tuo semplice servizio ma soprattutto la gioia dello Spirito accolto nel “grembo” della tua totale disponibilità alla sua azione. Durante gli ultimi mesi della tua gravidanza, ti sei messa in viaggio con Giuseppe, per “salire” da Nazareth a Betlemme, dove hai dato alla luce Gesù, luce-guida delle nostre esistenze. Lo hai portato a Gerusalemme nel tempio, per offrirlo al Signore. Lo hai smarrito e poi ritrovato tra i dottori durante un tradizionale pellegrinaggio alla città santa. Lo hai seguito durante la sua vita pubblica, fin sotto la croce. Hai viaggiato tanto, Maria, e hai compreso il senso vero del viaggiare, il modo per non rendere i nostri passi inutili, camminando non solo con i piedi ma anche con i passi del cuore.
Ti affido, prima di tutto, il viaggio di questo mese. Aiutaci ad essere fedeli, disponibili alla Parola proclamata e commentata, desiderosi di condividere la mensa del tuo Figlio, per avere quel pane così importante per non rimanere senza voglia e forze davanti alle sfide dell’amore. Proveremo a navigare in quel mare d’amore che sono le sette parole di Cristo sulla croce. Le conosci bene, le hai ascoltate in diretta, una è stata rivolta direttamente a te. Non sono soltanto parole, ma un “concentrato” del suo cuore di Figlio che ha condiviso tutto se stesso con noi, fino alla fine. Voglio che non restino soltanto parole, ma che diventino il carburante per la corsa della nostra vita. Possano aprire nei nostri cuori nuovi spiragli alla potenza dello Spirito, perché sulla pista di una preghiera sincera ed intensa, possiamo decollare e raggiungere l’universo di luce del nostro Padre, meta di ogni nostro sforzo, inizio di ogni nostro serio impegno nel mondo a servizio del vero amore.
Il mese di maggio è un viaggio nel viaggio. Può essere una grande occasione per dare una scossa al percorso ordinario nel tempo della nostra comunità. Non dovrà essere un’esperienza chiusa in se stessa, con un inizio ed una fine. Aiutaci, Maria, ad iniziare con la consapevolezza che, come te, non dovremmo fermarci mai. Questa particolare esperienza di grazia tra un mese finirà, ma sarà sempre davanti ai nostri occhi quella realtà – le nostre famiglie, in particolare i giovani, il mondo del lavoro, gli anziani e gli ammalati, i tanti poveri – che chiede di essere servita secondo la “logica” di Cristo, cioè farsi piccoli con i più piccoli, portare luce dove c’è buio, costruire pace dove c’è disunione, annunciare la speranza dove si scrivono soltanto sentenze di morte. Tra un mese saremo sempre parte di questa comunità, fatta di tante ricchezze da consolidare, ma anche di tante contraddizioni da risolvere. Insegnaci, Maria, a riversare l’entusiasmo di questo mese, la forza della fede che accumuleremo, nella vita concreta della nostra comunità, per aiutarla a diventare sempre di più “casa del Padre”, giardino fiorito per gustare il profumo di Cristo.
Metto nel tuo cuore di madre premurosa anche un altro viaggio, che si intreccia con quelli di questa comunità e del mese di maggio. Quattro anni fa iniziava il viaggio del mio sacerdozio. Dopo circa sette anni e mezzo di preparazione, passati a cercare di capire la bellezza di una chiamata diversa rispetto a quella della vita familiare, il Signore mi ha detto, attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione del mio vescovo Felice:”Vai! Comunica ai tuoi fratelli, dove io ti manderò, la bellezza della tua Parola e aiutali a gustare la fragranza di quel pane che è il mio Corpo! Così diventeranno, insieme con te, un vangelo vivente!”. In questi quattro anni ho provato a fare la mia parte, tante volte ho disatteso queste parole, scontrandomi con le mie fragilità e i miei peccati. Ma ancora arde dentro di me la voglia di seguirlo, di imitare i suoi passi, diventando un suo semplice “portavoce”. E ti chiedo di aiutarmi a trasformare questo desiderio, sempre, in un concreto “essere servo” ...
Ti chiedo, infine, la semplice grazia di continuare ad essere nostra compagna di viaggio, perché in ogni istante abbiamo bisogno della tua esperienza. Sorvegliaci con amore, puntando a perfezionare sempre la qualità del nostro correre ... verso di Lui ...
tuo, Tonino
Pubblicato da don Tonino alle 20:35 0 commenti
sabato 1 maggio 2010
Dallo scandalo alla gratitudine ... tre vie ...
1 maggio 2010, Festa di s. Giuseppe lavoratore
Dal Vangelo secondo Matteo cap. 13 vv- 54-58
In quel tempo, Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?
Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?". E si scandalizzavano per causa sua.
Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua".
E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.
Mettiamo a fuoco il sentimento che invade il cuore dei compaesani di Gesù. Perché scandalizzarsi dopo aver fatto esperienza della sua sapienza e dei suoi miracoli? Non sarebbe più naturale essere CONTENTI, GRATI per un dono così grande? Proviamo ad andare alle radici di una reazione così “inspiegabilmente” negativa ...
... la difficoltà a riconoscere il BENE che viene dall’altro ...
... quando io faccio qualcosa di buono – sia quando è veramente così sia quando io penso di aver agito bene ma in realtà non è così! – ci tengo ad essere apprezzato dagli altri, lodato, se necessario anche “messo su un piedistallo” perché proprio tutti possano rendermi omaggio. Sono contento di aver fatto qualcosa di utile, accolgo la gioia degli altri. Se qualcuno non riconosce il mio successo, se dice che in fondo non ho fatto nulla di importante, mi convinco che è l’invidia a farlo parlare e non ci penso più di tanto. Mi godo la bellezza del momento. Se invece qualcun altro, soprattutto una persona a me molto vicina, realizza qualcosa di importante nella vita, sento una certa difficoltà a gioire della sua stessa gioia. Mi congratulo, sorrido, cerco di mostrare la mia soddisfazione ma il mio cuore è come un auto che cammina sempre di prima marcia. Non riesco ad essere pienamente contento per l’altro perché forse, in fondo, per quella cosa volevo essere lodato io, oppure perché il suo successo – almeno così mi sembra – offusca un po’ il mio. Se poi addirittura mi prende l’invidia, allora comincio a trovare mille argomentazioni per sminuire, demolire o addirittura distruggere ciò che l’altro ha fatto, rovinando anche la sua soddisfazione ...
... la difficoltà a comprendere che il BENE è immediatamente condivisibile ...
... la precedente difficoltà si innesta su quest’altra distorsione che spesso aleggia in noi. Non mi rendo conto che il bene che l’altro compie, per il quale giustamente gioisce, diventa immediatamente patrimonio del mio cuore. Divento proprietario di qualcosa di prezioso senza compiere nessuna spesa. Un fratello che compie opere grandi nell’amore, come Gesù ha fatto, mette nelle mie mani germi di bene che posso seminare nel mio terreno interiore. Essi diventeranno un albero rigoglioso che donerà al mio futuro frutti dolci e nutrienti. Se il mio fratello contribuisce alla bellezza della mia vita senza nulla chiedermi in cambio, mettendo gratuitamente a disposizione il bene fatto, non posso vederlo come un avversario o un “ladro” di un certo riconoscimento che spetta a me. E’ invece un collaboratore della mia crescita, al quale è giusto essere grato ...
... la difficoltà a sperimentare che il BENE, prima di tutto, viene da Dio ...
... la madre di tutte le difficoltà la troviamo strettamente nel campo della fede, cioè del nostro rapporto “ a tu per tu” con Dio. Lui è il Bene, Lui è la fonte di ogni bene, Lui è da lodare e ringraziare prima di tutto per i beni che diffonde sulla terra per noi, suoi figli. Noi siamo soltanto strumenti, “trasmettitori” del suo amore. Lui è la goccia che cade nell’acqua scatenando un movimento, noi soltanto le onde riflesse. Invece di perdere tempo a coltivare risentimenti, desiderare inutili riconoscimenti, cercare lodi a destra e a manca, è più importante ringraziare Colui che è l’origine di qualsiasi parola o nostro gesto buono. Chi è il mio fratello che compie il bene? Un strumento nelle Sue mani, come me. Gioire con lui, per quello che ha fatto, equivale a gioire della presenza di Dio in noi, che ci unisce ...
Giuseppe ha “vinto” queste difficoltà: ha saputo riconoscere il bene che viene dall’altro (pensiamo al suo rapporto con Maria), ha capito che il bene è immediatamente condivisibile (è il primo “fruitore” della salvezza portata da Gesù!), ha sperimentato che il bene prima di tutto viene da Dio (si è fidato e affidato sempre a Lui!). E’ diventato per questo un SANTO ...
Esercizio quotidiano: metto a fuoco le mie personali difficoltà che ho quando vedo il bene fatto dai miei fratelli ... prego per loro ... Gli chiedo di aiutarmi a percorrere la via della vera gratitudine ...
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venerdì 30 aprile 2010
Dove andare? ... la nostra VIA è Gesù da incontrare ...
30 aprile 2010, venerdì della 4ª di Pasqua
Dal Vangelo secondo Giovanni cap. 14 vv. 1-6
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
Nella nostra vita le cosiddette “domande fondamentali”, le “domande sul senso profondo della vita” ci procurano non pochi turbamenti. Perché ci “costringono” a pensare a quel “pezzo” della nostra vita – il futuro – di cui sappiamo poco o niente, che ci sembra più incerto che certo, che ci appare spesso più negativo che roseo. Dove andare? A cosa sono chiamato? Qual è la strada da percorrere per raggiungere la vera gioia e non di essa un semplice surrogato, un miraggio?
Gesù entra nella discussione, pone la sua “soluzione” al problema. Prima di tutto, ci INCORAGGIA, vuole farci comprendere che l’aspetto del turbamento non è e non deve coprire l’intera gamma delle nostre emozioni. “Non sia turbato il vostro cuore!”. Bisogna LOTTARE contro quel senso di negatività che ti fa credere di non essere in grado di affrontare i problemi e risolverli, di cambiare il mondo a cominciare da te stesso, di “nutrire” la famiglia umana con il tuo apporto unico ed originale. Il turbamento non è il “porto” a cui Gesù ci chiama ad attraccare. E’ un momento, un passaggio della vita, magari a volte molto lungo, ma non il nostro destino. Come LOTTARE? Bisogna avere fede in Gesù, Figlio del Padre. La fede, cioè la certezza interiore e profonda di avere una Persona Amica che ti guarda sempre con amore infinito, in ogni momento e in ogni luogo, si “conquista” con un INCONTRO PERSONALE con Dio. Bisogna DEDICARE del TEMPO ad un incontro “faccia a faccia”, nel quale dirsi le cose senza peli sulla lingua. Tutto questo, oltre a distruggere le prese del turbamento, ti aiuta a conoscere la VIA, ad avere indicazioni per rispondere alle domande fondamentali che prima abbiamo messo in evidenza.
Questo è un PASSAGGIO IMPORTANTISSIMO: Gesù, in persona, è la VIA. Egli non dà indicazioni per la salvezza, è la VIA della salvezza. Non si può incontrarlo una volta nella vita o una volta tanto, ricevere un po’ di informazioni e poi andare per la propria strada. Ci vuole un INCONTRO COSTANTE, per ricevere in ogni momento le indicazioni necessarie, per evitare di passare giorni, mesi o anni ad andare fuoristrada o a restare bloccati in valli o deserti senza sapere come e dove andare.
Mi rifaccio insieme con tutti voi alcune domande, per concludere: perché andare a Messa ogni domenica? Perché farlo sempre, anche quando “non ci si sente”? Perché essere fedeli a questo appuntamento, anche quando è dura svegliarsi o sembrano esserci cose da fare più importanti? Perché è un vero PECCATO non partecipare al raduno domenicale dei cristiani? Noi abbiamo bisogno di una VIA da percorrere per portare la nostra vita nel porto della gioia. La VIA è Cristo. Per avere le informazioni necessarie è indispensabile INCONTRARLO spesso, almeno ogni settimana, per avere indicazioni sicure e pane per reggere la fatica ... non perdiamo più neppure un’occasione di incontro con Lui, almeno la domenica, per essere sempre bene orientati alle nostre mete ...
Pubblicato da don Tonino alle 07:33 0 commenti
lunedì 12 aprile 2010
VANGELO GIOVANE 2° puntata: Internet
Caro giovane, anche se non avrei bisogno di presentazioni – ci conosciamo già da tempo, ci “frequentiamo” molto tempo, so di essere diventato presenza fissa del tuo tempo! -, comincio col darti le mie generalità. Nome: Internet. Anzi, presumendo al 99% che tu sei di nazionalità italiana, uso un termine della tua lingua: Rete. Più specificamente – prendo una definizione da enciclopedia, però telematica! - sono l’unica ( al momento, per il futuro chissà, non mi azzardo a fare previsioni!) “rete di computer mondiale ad accesso pubblico attualmente rappresentante uno dei principali mezzi di comunicazione di massa”. Data di nascita: a livello progettuale, già nel 1962, in realtà ho mosso i primi passi solo nel 1991. Luogo di nascita: Stati Uniti d’America. Segni particolari: sono senza ombra di dubbio insostituibile. Sono certo che anche per te, come per la stragrande maggioranza dei tuoi coetanei, sono diventato il “mare più navigato”. Sono certo di averti tra le mie “prede”. Monopolizzo il tuo tempo, ti offro la possibilità di scaricare la tensione della giornata. Quando non hai nulla da fare, “in me” trovi sempre un modo – intelligente o no questo ha poca importanza – per metterti alle spalle secondi, minuti ed ore che, senza la mia esistenza, sarebbero fossati difficili da scavalcare. Ma il più grande dei regali è questo: racchiudo tutto il mondo in un clic. Tutto quello che succede nel tuo paese, nella tua nazione ma anche all’estero, puoi saperlo in pochi secondi. Se hai bisogno di sapere qualcosa, di acquisire conoscenze nei più diversi campi del sapere, basta un colpo di mouse e qualcosa sicuramente trovi. Puoi trovare tutto il mondo grazie ad un pc. Le distanze si sono accorciate, le possibilità di comunicare notevolmente aumentate, le diverse dislocazioni geografiche non sono più un problema per il passaggio di informazioni anche importanti. Però una cosa non riesco a spiegarmi: perché nonostante queste facilitazioni nella possibilità di comunicare, ci sentiamo comunque tutti più lontani? Perché anche tu, caro giovane, non vedi i tuoi rapporti personali migliorati, visto che “parlare” è diventato più semplice? Se in pochi secondi si può mandare informazioni da un capo all’altro della terra, perché sperimenti la brutta sensazione di sentirti più lontano dal tuo vicino di casa, dall’amico con cui hai passato tutta l’adolescenza, dai genitori che ti hanno dato la vita ed educato, da coloro che hai la possibilità di incontrare spesso “faccia a faccia”? Come spiegare questa grande contraddizione? Forse essere vicini, prossimi, collegati veramente “con tutto il cuore” non è soltanto una questione di distanze. C’è bisogno di una scelta, di un desiderio che scenda dal livello delle “buone intenzioni” per trasformarsi in azioni concrete e quotidiane. E’ necessario imparare ad essere “custodi” degli altri, curando la comunicazione, in modo che ci sia uno scambio di cose importanti, sentimenti veri, fatti decisivi della vita e non soltanto discorsi generici del tipo “Come stai? Tutto bene!”. E’ più che mai urgente imparare l’arte di “pescare”, “pescarsi” a vicenda. Questa particolare espressione non è mia. Si può trovare “in me” ma non ne sono l’autore. Qualcuno un giorno, rivolgendosi a persone incontrate lungo la riva di un lago, intenti al loro mestiere di pescatori, ha detto ad uno di loro di nome Pietro: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca” (Luca 5,4). E subito dopo: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Luca 5, 10). “Pescare” vuol dire ritrovarsi veramente, entrare l’uno nella vita dell’altro, farsi da specchio per conoscersi in profondità. Io, anche se capace di “accorciare le distanze”, non posso darti tutto questo così, automaticamente. Un altro, invece, Gesù di Nazareth, è disposto ad insegnarti l’arte del pescare. In quel “d’ora in poi” c’è tutta la sua volontà di seguirti, correggerti, fare di tutto per te, anche morire. Non devi fare altro che seguirlo, ascoltarlo, farlo diventare il fulcro dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti ...
Pubblicato da don Tonino alle 03:52 0 commenti